C’è una perizia, non ancora depositata e disposta dalla Corte d’assise di Bologna il 22 maggio scorso, che potrebbe riscrivere in parte la storia di quello che accadde il 2 agosto del 1980 nella stazione. I giudici avevano incaricato la biologa genetico-forense Elena Pilli di analizzare un lembo facciale, un piccolo scalpo con una chioma nera, un frammento parziale delle dita della mano destra e un frammento di mandibola in prossimità del mento con alcuni denti per confrontarli con quelli di Maria Fresu uccisa insieme alla figlia Angela, di 3 anni, dalla bomba che squarciò la sala d’attesa della seconda classe.

I resti della donna erano stati riesumati e la difesa dell’ex Nar Gilberto Cavallini, imputato per concorso nell’attentato, aveva chiesto la perizia. Secondo quanto riportato ieri dall’Adnkronos la scienziata avrebbe stabilito che quei resti non apparterrebbero alla Fresu e che il lembo facciale è di una donna che si trovava in prossimità dell’ordigno. Che si tratti dei resti di una 86esima vittima, che si tratti della persona che custodiva o trasportava l’ordigno sarà il processo a stabilirlo. Vale la pena ricordare che l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga in una intervista disse che era in corso “un transito” come se la bomba fosse destinata altrove.

In giornata la genetista in una nota ha comunicato che “i profili mitocondriali trovati nei resti conservati nella bara di Maria Fresu sono risultati non sovrapponibili con il Dna dei parenti della donna morta nella strage della stazione di Bologna”. Nella nota ai consulenti, diramata d’accordo con il presidente della Corte, Pilli comunica anche di aver chiesto una proroga di sette giorni per terminare la stesura della relazione. .

“Anche se le indiscrezioni sulla perizia genetica sulle spoglie trovate nella bara di Maria Fresu venissero confermate, e cioè venisse appurato che i resti non appartengono alla donna morta il 2 agosto 1980 nella strage di Bologna, ma ad altre due persone, non si potrebbe comunque parlare di 86/a vittima dell’attentato – aveva detto all’Ansa il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime Paolo Bolognesi – Per quello che riguarda il processo non sposta niente. Per dire che è l’86/a vittima bisognerebbe fare l’analisi di tutti i Dna, e poi valutare. Proprio ieri la perita Elena Pilli ha chiesto ai giudici altri sette giorni per poter concludere la relazione, che non è quindi ancora depositata. “Bisogna considerare – prosegue Bolognesi – che non stiamo parlando di un incidente stradale. C’è stata un’esplosione, poi il trasporto in autobus. I resti possono essersi mescolati. Per noi – prosegue Bolognesi – l’unico problema è il tormento dei familiari di Maria Fresu, a cui va tutta la nostra solidarietà. Diventa difficile, dopo 40 anni, accettare che sei andato a pregare sulla tomba di un morto che non è il tuo”.

“Il collegio di parte civile non può commentare una perizia che non è ancora stata depositata e il cui contenuto è ad oggi sconosciuto. A nostro avviso – scrivono in una nota, gli avvocati Andrea Speranzoni, Roberto Nasci e Alessandro Forti, legali di parte civile – il problema non sarà in ogni caso il contenuto e l’analisi peritale, con cui siamo pronti in ogni caso a misurarci; il problema è piuttosto la tempistica delle indiscrezioni e il quadro generale di quello che si sta muovendo fuori dal processo. A noi – proseguono – interessa però solo il processo. Concentreremo dunque la nostra attenzione sulla memoria difensiva relativa ai covi Nar di Via Gradoli e alla documentazione relativa a società immobiliari riconducibili al Sisde che in quella via di Roma gestivano numerosi immobili e sull’importante testimonianza di Vincenzo Vinciguerra“.

“Se la notizia sarà confermata per noi è un fatto di grandissima importanza – dice l’avvocato Alessandro Pellegrini, uno dei difensori dell’ex Nar Gilberto Cavallini – Ci sono due corpi di cui non si sa nulla. Il corpo di Maria Fresu è sparito, e sappiamo che un corpo non può dissolversi. E poi abbiamo il corpo di una persona non identificata, sconosciuta, e mai reclamata da nessuno”, dice Pellegrini. Per il difensore “la persona a cui appartiene la maschera facciale” presente nella bara riesumata dal cimitero di Montespertoli “è una persona di cui non sappiamo nulla. È una vittima in più”. Inoltre “questa persona era vicinissima alla fonte dell’esplosivo: lo dimostra il tipo di lesione”. Proprio per questo, secondo il difensore, non può trattarsi di una delle altre 84 vittime. “È escluso dal perito Pappalardo, che all’epoca era titolare della cattedra di Medicina Legale. Quando attribuì il lembo facciale alla Fresu, andò anche per esclusione e disse che non poteva appartenere a nessun’altra vittima di sesso femminile. Non si poteva adattare alle uniche altre due che ebbero il viso ‘sfacelato’ dall’esplosione”.

Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, condannati in via definitiva insieme a Luigi Ciavardini, sentiti dall’Adkronos, dichiarano che “sta emergendo la verità” e che non erano a Bologna quel giorno.

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