“Quando da bambini andavamo a pescare in Arno si pescavano carpe, tinche, barbi, anguille, cavedani mentre nei torrenti dell’Appennino vivevano floride comunità di vaironi, ghiozzi e trote fario… Poi sono arrivate le immissioni di pesci alloctoni, rilasciati più o meno abusivamente da pescatori sportivi. Così iniziammo a trovare attaccati all’amo viscidi pesci gatto, coloratissimi persici sole, voraci blackbass nei laghetti e, in minuscoli torrenti, grosse trote iridee. Ho smesso di pescare in Arno con l’arrivo del siluro, che di fatto è stata una delle cause del crollo dell’ittiofauna locale, più che altro perché l’idea di catturare un siluro mi fa davvero ribrezzo. I fiumi sono diventati un ricettacolo di pesci assurdi, che in buona misura hanno soppiantato le 44 specie autoctone e che impattano fortemente su specie endemiche e protette di anfibi, invertebrati, etc”. Così esordisce un post su Facebook dell’amico Duccio Berzi, uno dei maggiori esperti di lupi in Italia, oltre che pescatore pentito (e uno dei pochi che usa i social per fare informazione).

Esordisce così per annunciare la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 5 settembre del D.P.R. 109/2019, con la quale si consente al ministero dell’Ambiente di rilasciare autorizzazioni all’immissione di specie alloctone in natura. Il provvedimento appare dettato dalle esigenze dei pescatori sportivi, i quali mal digerivano il fatto che nel 2003 con il D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120 fosse stato introdotto il divieto di “reintroduzione, introduzione e ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone.”

Esulta la Fipsas, appunto la federazione dei pescatori sportivi, che ammette candidamente: “ci sono voluti quasi tre anni per arrivare a un risultato tangibile. Anni in cui abbiamo lavorato ‘sodo’ dietro le quinte, con impegno e pazienza certosina, per superare l’impasse normativa… questa non è una semplice vittoria, ma la vittoria della nostra federazione”.

Hanno lavorato tre anni finché non hanno trovato un sottosegretario condiscendente, nella specie la signora Vanna Gravia, della Lega, sottosegretario all’Ambiente, e un ministro altrettanto condiscendente, quel Sergio Costa portato in palmo di mano anche da alcune frange ambientaliste e confermato nella carica anche nel presente governo.

La dannosità e, consentitemi, la stupidità del provvedimento è palese anche agli occhi di una persona solo un minimo informata. La biocenosi dei nostri corsi d’acqua è profondamente alterata proprio a causa delle scellerate immissioni, lecite e illecite, di fauna alloctona avvenute nei decenni scorsi. E quando erano lecite, erano esclusivamente in funzione di quella pesca sportiva dei cui interessi la federazione di cui sopra si fa portatrice.

E che le immissioni siano dannose lo denuncia il fatto che alcune regioni come il Piemonte abbiano emesso provvedimenti per l’eradicazione. E che alcune aree protette, come il parco nazionale Gran Paradiso, stiano appunto eradicando le specie alloctone, peraltro non certamente dannose come il siluro o il pesce gatto (trattasi di trota fario e salmerino), nella convinzione che “L’introduzione di specie ittiche esotiche è una minaccia per molti ecosistemi acquatici.”

Insomma, la scienza va in una direzione e i politici in tutt’altra. Perché i pescatori votano e i pesci no. Del resto, che i nostri governanti siano lì per soddisfare interessi di parte e non già il bene comune lo si apprezza ogni giorno. Che il Tav Torino-Lione sia dannoso e arrechi un danno economico alla collettività oltre che al territorio è stato dimostrato dall’analisi costi-benefici.

Ed ecco che il nuovo ministro Paola De Micheli conferma che si andrà avanti e che bisogna dire basta con i no politici. Se c’era un no che non era politico era quello del Tav, ma vaglielo a spiegare, quando per il sì ci sono Confindustria, l’Ance, i sindacati. La storia è sempre la stessa. Un gioco di forza. E vince sempre Golia. Come nel caso delle specie alloctone.

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