Quando un Oscar non basta. Non che la statuetta al Miglior film straniero sia stato l’unico riconoscimento tributatogli, ma Tutto su mia madre è un’epifania così dolce e intensa che non la si può raccontare. Ci si ritrova di fronte a una di quelle opere che ti cambiano il modo di vedere le cose, un po’ come quando senti per la prima volta John Coltrane. È come se all’improvviso percepissi dei colori che prima faticavi persino a immaginare. Magari quei toni caldi che avvolgono e abbracciano Manuela (Cecilia Roth, strepitosa), giovane madre a cui la vita strappa un figlio senza neppure darle il tempo e il coraggio di confessargli il nome di un padre mai conosciuto. Inizia così un (atipico) road movie che è una carezza per lo spettatore. Un viaggio tra cuori e lacrime, tra suore e puttane, in cui i generi si confondono tanto dal punto di vista sessuale – centrale è il transgenderismo – quanto a livello narrativo – perfetto il mix di commedia e melodramma. Un film che riflette sul mondo e sulla necessità di recitarvi una parte e indossare una maschera. Un obbligo però che nella visione almodovariana si fa occasione, offrendo l’opportunità di rivelare se stessi. I rimandi e le citazioni dunque si sprecano in un affresco che è prima di tutto una lettera d’amore. Al cinema, al teatro e a tutto ciò che ci sta intorno.

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