L’ultima partita non centra con le altre, non fa nemmeno parte dei Championship. Si gioca solo sui prati di Wimbledon. In palio non c’è solo la vittoria di un titolo. Per uno dei due tennisti in palio c’è la propria vita. Siamo nel 1937 e i pantaloni di flanella vanno ancora per la maggiore. Le racchette sono di legno e pesano circa mezzo chilo. Di fronte: il barone tedesco Gottfried Von Cramm (dominatore sulla terra di Parigi) e quello che diventerà il primo uomo – nel 1938 – in grado di realizzare il Grande Slam, lo statunitense Donald Budge. Era la finale interzona della coppa Davis per stabilire chi avrebbe affrontato i campioni in carica inglesi. Considerando che la squadra britannica quell’anno non era granché, la sfida tra Von Cramm e Budge equivaleva a una finale. La serie tra le due nazioni era in perfetta parità: 2-2.

C’erano la regina Mary e altri 14mila spettatori. Era presente anche la Gestapo nazista per tenere d’occhio Von Cramm, condannato a vincere (sopratutto quella partita) per allentare i dubbi del regime circa la sua omosessualità. Inoltre non si era iscritto al partito nazista e veniva seguito da quattro anni. “Tu non capisci, io qui mi gioco la vita. Loro sanno cosa penso e sanno di me”, confessò alla prima star assoluta del tennis, Bill Tilden, che lo allenava segretamente.

Von Cramm, quel 20 luglio 1937, inizia giocando come mai aveva fatto in carriera su quei campi così rapidi,: 8-6 (all’epoca non esisteva il tie-break), 7-5 per la Germania. Tutto finito? Per niente. Budge alza il livello e recupera portando la sfida al quinto set: 6-4, 6-2. Von Cramm nel set decisivo torna avanti 4-1 ma Budge rimonta ancora. Sul 7-6, al suo quinto match-point, l’americano effettua un rovescio in tuffo. La palla finisce nell’angolino ma Budge non riesce a capire se sia fuori o dentro. Poi sente l’applauso e le esultanze entusiaste.

Un anno dopo Von Craam finisce in prigione per reati di natura sessuale. Scarcerato anche per via di pressioni a livello internazionale, nel 1939 prova a ritornare a Wimbledon ma non lo ammettono: “Moralmente non adatto”. Gli Usa gli negano il visto per giocare a Forest Hills (dove un tempo si giocavano su erba gli attuali Us Open). Dovette aspettare 14 anni per rimettere piede sul campo Centrale a Wimbledon: aveva 42 anni e ancora i calzoni bianchi lunghi.

Articolo Precedente

Mihajlovic, la lettera: “Ricevuto un mare di affetto, grazie. Pronto a combattere”

next