Beni per oltre 200 milioni di euro sono stati confiscati perché riconducibili ad attività illecite gestite dalla ‘ndrangheta. Lo ha deciso la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria che ha accolto la richiesta del sostituto procuratore della Dda Roberto Di Palma nei confronti dell’imprenditore Alfonso Annunziata, ritenuto il braccio finanziario della cosca Piromalli di Gioia Tauro. Quattro imprese, due società di capitali, 85 immobili, 42 rapporti finanziari e 700mila euro in contanti che la Guardia di finanza aveva rinvenuto quando, nel marzo 2015, è scattato il blitz dell’operazione “Bucefalo” da cui è nato un processo, ancora in corso, che vede Alfonso Annunziata accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso.

Su ordine del Tribunale, presieduto dal giudice Ornella Pastore, l’impero di Annunziata è diventato dello Stato e comprende anche il parco commerciale “L’Annunziata” che si trova nei pressi dello svincolo di Gioia Tauro dell’A3. Anche quello, secondo i pm, era in mano alla ‘ndrangheta. Dall’inchiesta della Guardia di finanza, infatti, è emerso che Annunziata non era il classico imprenditore vittima delle cosche. Piuttosto “un soggetto storicamente legato ai componenti di vertice della famiglia Piromalli”.

I boss di Gioia Tauro, da don Peppino Piromalli (classe 1921) a Pino Piromalli (classe 1945), avrebbero tutti fatto riferimento ad Alfonso Annunziata come il “cuore imprenditoriale” della famiglia mafiosa. Per la Dda, l’imprenditore è un “soggetto intraneo che si presta da oltre venti anni, volontariamente e consapevolmente, al perseguimento degli scopi imprenditoriali ed economici della cosca, così creando e sviluppando, nel tempo, solide cointeressenze economiche, accompagnate da ingenti investimenti commerciali nel territorio di Gioia Tauro”. Nel decreto di confisca si parla espressamente di “copertura mafiosa” dei Piromalli e dell’inserimento di Annunziata “in quel sistema in cui la libera concorrenza era fortemente vulnerata dalla strategia di ricerca del potere economico e di controllo del territorio dell’associazione mafiosa”.

Secondo il presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale Ornella Pastore, infatti, si è raggiunta la prova che “la crescita dell’attività imprenditoriale dell’indagato e l’accumulo di ricchezza da parte di quest’ultimo sia stata concretamente agevolata dalla sua appartenenza alla ‘ndrangheta che gli ha garantito (attraverso la forza di intimidazione e della condizione di assoggettamento ed omertà del vincolo associativo) la possibilità di affermarsi e di espandere le sue imprese e di conseguire un rilevantissimo volume d’affari attraverso l’alterazione del sistema di libera concorrenza quale effetto naturale del clima di intimidazione ed assoggettamento derivante dalla presenza mafiosa”. Annunziata avrebbe svolto il ruolo di “garante ambientale” per gli imprenditori che operavano all’interno del suo centro commerciale e che si rivolgevano a lui consapevoli delle sue entrature con i Piromalli.

Il “metodo mafioso” del clan è stato, secondo il Tribunale, il fattore determinante del successo imprenditoriale di Alfonso Annunziata, arrivato a Gioia Tauro negli anni ottanta come venditore ambulante e diventato in poco tempo il leader nel mercato dell’abbigliamento. Secondo le indagini del pm Di Palma, infatti, possono ritenersi “imprese mafiose” quelle di Annunziata che “ha consapevolmente scelto da subito di costruire la sua fortuna sotto l’egida della ‘ndrangheta e nel fare questo ne ha condiviso le regole e le decisioni degli affari e dei ricavi”. Una montagna di soldi che l’imprenditore, originario di San Giuseppe Vesuviano in provincia di Napoli, ha investito in terreni, società, palazzi, conti correnti e polizze assicurative. Un impero che, per le Fiamme Gialle, ammonta complessivamente a 215 milioni di euro e che  è stato strappato alla cosca Piromalli.

 

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