Lottano come leonesse per difendere i loro figli. Lottano contro i giganti, i potenti, l’economia, il mercato, la politica. Lottano da sole, nell’indifferenza dello Stato.

Da giorni sono sul piede di guerra. Hanno paura per la salute e la vita dei loro figli. Questa mattina erano in presidio davanti al Palazzo di Città insieme ai bambini del quartiere Tamburi che non possono andare a scuola perché il sindaco le ha chiuse con un’ordinanza urgente il 2 marzo scorso.

Perché? Vietato lo svolgimento di attività che comportino il contatto con il terreno, o l’inalazione di polveri provenienti dallo stesso, nell’area della Salina grande, totalmente ricadente in zona Sin di Taranto (sito di interesse nazionale), dopo il rilevamento di concentrazioni extra soglia di arsenico, berillio, CH>12 (idrocarburi), stagno, tallio, vanadio e cobalto.

Lezioni sospese negli istituti Deledda e De Carolis, disposto il trasferimento urgente di 708 studenti, docenti e personale.

Sono in strada da giorni, in prima fila, pronte a prendersi denunce al posto dei loro figli più grandi. Eppure a Roma nei palazzi che contano nessuno parla di loro.

Hanno simbolicamente chiuso con una catena e un lucchetto l’ingresso dell’acciaieria più grande d’Europa che sorge a ridosso delle loro case, dei campetti di calcio, di parchi e scuole.

Nel 2012 la Procura ha pronunciato la frase “disastro ambientale”, ha cominciato a contare i morti causati dall’inquinamento. Da allora sono cambiate poche cose, in peggio: lo Stato ha emesso 10 decreti per tenere aperta la fabbrica nonostante l’ordinanza di sequestro senza facoltà d’uso emanata dai magistrati; ha disposto l’immunità penale per i commissari che hanno gestito l’acciaieria e per l’imprenditore che oggi l’ha comprata; nessuna “vera bonifica” è mai partita.

Sono le mamme di Taranto, Puglia, Italia.

Donne che subiscono, nel corpo e nella psiche, la violenza dell’inquinamento che leva a molte di loro il diritto di avere dei figli, anche solo per la paura di metterli al mondo e farli crescere in un clima malato. Mamme e figli uniti da un unico slogan: “Chiudete l’Ilva, non le scuole. Vogliamo vivere”.

Auguri donne! Buon 8 marzo.

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