Matteo susiti”. Cioè alzati. Siamo nel marzo 2016 nelle campagne di Campobello di Mazara, in provincia di Trapani). Una macchina guidata da un uomo si avvicina nei pressi di un “caseggiato rurale”. L’auto è piena zeppa di microspie. I carabinieri ascoltano i rumori di un portone metallico e l’invito rivolto in dialetto siciliano: “Matteo susiti”. A pronunciare queste parole è Francesco Catalanotto, uno degli arrestati del blitz Mafiabet. L’immobile invece era di proprietà di Calogero John Luppino, anche lui finito in manette perché ritenuto tra i principali finanziatori della latitanza di Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993. Dopo quelle parole Catalanotto si allontanò da solo dall’abitazione. I carabinieri la perquisirono ma dentro non c’era nessuno.

È da questo episodio che sono nate le indagini che oggi hanno condotto i carabinieri del Comando Provinciale di Trapani, della Compagnia di Mazara del Vallo e del Ros ad arrestare tre persone: Catalanotto, Luppino e Salvatore Giorgi, detto Mario, più volte consigliere comunale e assessore, adesso animatore del movimento politico “Io Amo Campobello”. Dalle intercettazioni dell’inchiesta emerge come alcuni degli arrestati arrivassero ad auspicare l’arresto di Messina Denaro. In una conversazione Luppino dice a Giorgi: “Fino a quando non prendono a ‘questo’ siamo tutti consumati, perché ti legano tutti a questo deficiente”. L’altro risponde:  “Finché non prendono questo cane di macogna, eh, in questo territorio faranno terra bruciata”.

L’inchiesta è coordinata dalla procura di Palermo, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Gianluca De Leo e Francesca Dessì. Secondo i pm Luppino ha avuto una “rapidissima ascesa imprenditoriale” favorita dagli affiliati alle famiglie di Castelvetrano e Mazara del Vallo. Giorgi era invece lo zio e plenipotenziario proprio sul territorio mazarese. Entrambi invece hanno sostenuto l’elezione di Stefano Pellegrino, deputato all’Ars dal dicembre 2017, facendolo votare anche in cambio di pacchi della spesa e banconote da 50 euro.

Il politico era consapevole dell’accordo ma non della caratura mafiosa dei due. Tanto che un giorno la segretaria gli manda un sms dal tono inequivocabile: “Buongiorno Stefano, la signora [..] mi ha chiesto se puoi parlare di nuovo con Giorgi per un po’ di spesa per Capodanno“. Anche Rosario Allegra, cognato del latitante Matteo Messina Denaro raccontava al telefono di “aver dato qualche voto a Pellegrino ma così a livello amichevole”, mentre Dario Messina (presunto reggente della famiglia di Mazara del Vallo, adesso in carcere) avrebbe raccolto 162 voti tra “amici e cose”. Per i pm però il reato di compravendita di voti è comprovato da alcune intercettazioni del marzo 2018 in cui Giorgi “ammetteva di aver consegnato generi alimentari a tutti gli abitanti delle case popolari”, compreso il suo interlocutore “al quale aveva dato 50 euro la settimana successiva alle elezioni“. E Luppino assicurava: “Tutti Pellegrino hanno votato”.

La prima cosa che dobbiamo pagare sono i picciotti“. Così, intercettato, parlava l’imprenditore delle scommesse online Calogero John Luppino, tra i fermati nell’operazione di oggi “Mafiabet” e che era una cassaforte per la mafia di Campobello di Mazara. Per l’accusa anche i ricavi di un centro d’accoglienza per minori migranti gestito finivano nelle casse di Cosa nostra. “Là, siamo tre soci, l’impegno con te me lo sto prendendo io, me lo sto accollando io“, diceva nonostante fosse un socio occulto dell’associazione ‘Menzil Salah‘, che gestiva un centro per migranti a Salaparuta, in provincia di Trapani. Dai fondi erogati dalla prefettura di Trapani all’associazione venivano prelevati 500 euro al mese – grazie alla complicità di un prestanome – che servivano a pagare l’avvocato di Franco Luppino, boss di Campobello attualmente recluso, tramite Raffaele Urso, detto Cino, (arrestato l’anno scorso e tuttora in carcere). Con i suoi soldi avrebbe “contribuito al sostentamento” della famiglia del capomafia in carcere, compresa la moglie nel frattempo scarcerata.

Sullo sfondo dell’indagine però emergono ancora una volta i conflitti all’interno delle famiglie trapanesi, culminate con l’omicidio ancora irrisolto di Giuseppe Marcianò ucciso a Campobello di Mazara nel luglio 2017, e tratteggiate già in altri blitz antimafia. Luppino era il terminale trapanese del business di Cosa nostra nel settore delle scommesse e godeva del ruolo di bookmaker per l’operatore Leaderbet, marchio di proprietà della società di diritto maltese “LB Casinò”, di proprietà di Sergio Moltisanti, originario di Ragusa che fa base a Malta. Si tratta della stessa società con cui lavorava Ninì Bacchi, adesso a processo per aver creato a Palermo un sistema di scommesse illecite con l’appoggio della mafia.

Il business delle scommesse stava straripando. Tanto che il cognato del latitante, Rosario Allegra, intercettato con Luppino gli diceva che “ora ultimamente ho avuto pressioni di Palermo, di Catania. Gli ho detto, statevi pronti che io, anche perché ‘quello’ a me mi vuole bene anche perché io sono per lui. Quello mi ha detto a me, dice: chiunque viene, non ti devi fare impressionare, mandali a fare in culo, chiunque viene, tu, a te nessuno ti può dire niente ed io cammino”. Per gli inquirenti “quello” è Messina Denaro.  Boss amato e temuto. Ma anche deriso.

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