Condizionava il voto per favorire i candidati scelti dal clan Belforte, gli stessi politici disposti a versare somme di denaro, buoni pasto e buoni carburante e imponeva ai candidati di avvalersi di una società intestata alla moglie per il servizio di affissione dei manifesti elettorali a Caserta. È in questo modo che il capo dell’associazione camorristica Agostino Capone ha condizionato il voto per il rinnovo del consiglio regionale del 31 maggio 2015. Ma non solo. A Caserta nei giorni del voto si è visto di tutto, secondo la Dda di Napoli: dalle intimidazioni al presidente del seggio, agli anziani accompagnati all’interno dei seggi perché esprimessero la loro preferenza per i candidati indicati dal clan, gli stessi politici disposti a comprare un voto anche a 70 euro. È quanto emerge dall’indagine dei magistrati antimafia napoletani che ha portato, questa mattina, il gip a firmare 19 misure cautelari (12 arresti in carcere, tra cui i due boss, i fratelli Agostino e Giovanni Capone, 5 ai domiciliari e due divieti di dimora), anche a carico di politici locali, indagati a vario titolo per i reati di scambio elettorale politico mafioso, estorsione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, commessi con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso.

Indagata la compagna dell’ex sindaco di Capua
Indagata anche Lucrezia Cicia, la compagna di Carmine Antropoli, l’ex sindaco di Capua nonché primario del Cardarelli arrestato dai carabinieri proprio ieri con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, a causa dei legami con il clan dei Casalesi, stretti in occasione di altre elezioni, le comunali del 2016, a Capua. Ex candidata con Forza Italia (poi non eletta), Lucrezia Cicia avrebbe pagato insieme a Domenico Ventriglia (anche lui candidato, deceduto a maggio) 11.500 euro per un pacchetto di voti.

Lo scambio elettorale
Ai domiciliari sono finiti Pasquale Corvino e Pasquale Carbone, rispettivamente ex vicesindaco a Caserta ed ex sindaco nel comune di San Marcellino, entrambi candidati con il Nuovo Centro Destra-Campania libera durante le elezioni regionali di tre anni fa e non eletti. Sono accusati di aver chiesto agli esponenti del clan Belforte di procurare loro i voti di soggetti legati all’associazione camorristica, in cambio di denaro e altri favori. Corvino, titolare di laboratori di analisi, è l’ex presidente della Casertana Calcio e fratello dell’attuale assessore comunale di Caserta, Elisabetta Corvino. L’imprenditore avrebbe chiesto l’appoggio elettorale nel territorio di Caserta, promettendo ad Agostino Capone e Vincenzo Rea, anche lui in carcere, 3mila euro ciascuno, buoni spesa e buoni carburante, oltre ad un ‘regalo’ per l’altro boss, Giovanni Capone. L’altro candidato, Pasquale Carbone, attraverso un intermediario si era invece rivolto ad Antonio Merola, affiliato al clan Belforte (anche lui arrestato), per ottenere i voti del clan. Il patto era chiaro: 7mila euro in cambio di cento voti nel Comune di Caserta. Ma giacché nel capoluogo Carbone aveva ottenuto meno voti di quelli promessi (87 anziché 100), alla fine ha chiesto la parziale restituzione della somma versata.

Le minacce
In una conversazione tra quelle intercettate Agostino Capone minaccia delle persone: “Se non escono i voti (quello per Pasquale Corvino, ndr) devi vedere! Ti togliamo la macchina da sotto!”. Sulle operazioni, c’era il massimo controllo sugli elettori che, in cambio del voto, avrebbero ricevuto buoi spesa o carburante: “Li vado a prendere… li porto a votare fino a dentro! Con il telefono in mano faccio la foto, devo vedere sul telefono se no non hanno niente!”. Il boss in persona aveva accompagnato con la sua auto alcune persone anziane al seggio, facendole entrare nella cabina elettorale insieme alla moglie, per controllare se avessero votato bene. E sempre Capone, in una conversazione ambientale, raccontava alla moglie di aver controllato le schede prima di farle imbucare e di aver corretto con la matita il nome del candidato in ‘Corvio’, arrivando persino ad intimidire il presidente del seggio (“Non mi ha detto proprio niente perché io lo stavo menando a quello la dentro!”).

Il business dei manifesti elettorali
Il business dei manifesti ha fruttato al clan 17mila euro, utilizzati in parte per mantenere le famiglie degli affiliati detenuti. Giovanni Capone, all’epoca detenuto, ha utilizzato dei ‘pizzini’ per dare disposizioni al fratello Agostino, affinché si occupasse dell’affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta. E quest’ultimo imponeva ai candidati di fare riferimento alla società di servizi ‘Clean Service’, a lui riconducibile in quanto intestata alla moglie, Maria Grazia Semonella (ai domiciliari).

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