La cocaina arrivava dalla Colombia, mentre l’hashish dall’Albania e dal Marocco. Dal paesino di Limbadi al Sudamerica: con l’operazione “Ossessione”, la dda di Catanzaro non ha colpito solo la cosca Mancuso ma ha sventrato una “multinazionale del narcotraffico” che dalla Calabria faceva affari con i narcos colombiani, venezuelani e della Repubblica Dominicana. I tentacoli dell’organizzazione raggiungevano pure la Puglia e la Lombardia dove, nell’hinterland milanese, i Mancuso potevano contare su Giuseppe Campisi, un pluripregiudicato di “elevatissimo spessore criminale” che dopo un lungo periodo di detenzione per omicidio, da pochi anni era ritornato al servizio della cosca di Limbadi.

Quest’ultima, in Lombardia, era in affari con esponenti di Mazzaferro, originari di Gioiosa Jonica e da anni trasferiti nel milanese. L’operazione, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri e dal pm Annamaria Frustaci, ha portato al fermo di 25 persone con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga. Ad alcuni degli indagati, inoltre, la dda ha contestato anche l’aggravante mafiosa e della detenzione di armi. Tra i fermati ci sono i fratelli Salvatore Antonino, Giuseppe e Fabio Costantino. Gli ultimi due, assieme a Gaetano Muscia (anche lui fermato), erano stati coinvolti nell’inchiesta “Black Money”.

Stando alle indagini, condotte dalla guardia di finanza, un ruolo importante nell’organizzazione di trafficanti era quello delle donne che a volte fungevano da “teste di ponte” tra i loro uomini e il resto del clan. Ma altre volte si erano ritagliate posizioni più importanti come organizzatrici del narcotraffico e addirittura finanziatrici dello stupefacente che poi veniva spacciato in Italia. Come ha riferito il pentito Antonio Femia, infatti, alcune donne erano “broker di primissimo livello del narcotraffico, legate ai più potenti ‘cartelli’ sudamericani localizzati in Venezuela, Colombia, Repubblica Dominicana ed Ecuador”. Tra queste ci sono sicuramente le venezuelane Clara Ines Garcia Rebolledo e “zia Gina”, all’anagrafe Gina Alessandra Forgione. Quest’ultima, infatti, era socia di Julio Andres Murillo Figueroa, anche lui destinatario del provvedimento di fermo. Murillo Figueroa è un nome che in Sudamerica tutti gli investigatori conoscono perché risponde a quello di un narcos che in passato ha collaborato con i guerriglieri colombiani e addirittura con Pablo Escobar, capo del cartello di Medellin tra gli anni 80 e 90.

Un’altra donna “di peso” nello scacchiere dei Mancuso è stata l’albanese Elisabeta Kotja, l’amante di Salvatore Antonino Costantino alla quale quest’ultimo, in un’intercettazione, le aveva confidato quanto riusciva a incassare dalla droga: “Allora tu devi far conto che io giro la media sui 600.000 euro alla settimana.…due milioni e tre…tre milioni al mese…di giro di soldi che entrano quasi sempre….tre milioni al mese”. Tra i fermati anche Carlo Cuccia, residente a Venegono superiore in provincia di Varese, che in passato ha fatto da comparsa in “Gomorra”. Dalla finzione alla realtà, per Cuccia il passo è stato breve. Mentre nella fortunata serie tv aveva recitato il ruolo di “specchiettista scissionista”, per i Mancuso avrebbe avuto il compito di reperire le armi assieme a Ivo Menotta di Tradate.

Se la cocaina era il “core business” dell’organizzazione, gli indagati trafficavano anche altre droghe. Avevano, infatti, rapporti con il marocchino Abderrahim Safine attraverso cui i Mancuso hanno fatto affari con i cartelli magrebini per fare entrare in Italia grosse quantità di hashish dal Nordafrica che arrivano nei porti e negli aeroporti italiani. Anche a Malpensa dove, nel marzo dello scorso anno, la guardia di finanza è riuscita a sequestrare 430 chili di droga partita dal Marocco e passata dalla Spagna. Erano solo una parte di un carico di 3 tonnellate di hashish che avrebbe fruttato alla cosca tra i 4 e i 5 milioni di euro.  Ad inchiesta quasi chiusa, la bontà delle indagini della guardia di finanza è stata confermata dalle dichiarazioni di Emanuele Mancuso, il primo pentito della cosca di Limbadi figlio del boss Pantaleone Mancuso detto “Luni l’ingegnere”.  È stato lui che, agli inquirenti, ha riscontrato gli affari dei fratelli Costantino.

Soddisfatto del lavoro svolto dagli investigatori di Catanzaro e dallo Scico di Roma, durante la conferenza stampa, il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha dichiarato: “Abbiamo dimostrato la nostra credibilità sul piano internazionale. Questa operazione è importante in primo luogo perché è un fascicolo aperto un anno e mezzo fa, quindi siamo intervenuti non nella fase di logoramento di un’associazione ma nella fase di crescita di questa organizzazione, nella quale ci sono tante estrazioni criminali: c’è la ‘ndrangheta, ci sono albanesi, marocchini olandesi, che riuscivano a importare indifferentemente grandi quantità di cocaina dalla Colombia, di hashish e marijuana dall’Albania e dal Marocco”.

L’operazione era prevista tra quattro giorni. Ma è stata anticipata perché – ha spiegato il colonnello Carmine Virno, a capo del Nucleo di polizia economico finanziaria – “c’era chi aveva le valigie pronte per partire”. “In 24 ore – ha aggiunto il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico – abbiamo messo in piedi un dispositivo di 300 uomini in diverse aree del nostro Paese”. “Siamo riusciti a rapportarci con tre Stati del mondo perché siamo credibili”. Gratteri non ha dubbi a proposito e, per l’ennesima volta, si è rivolto ai cittadini così come ha fatto durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario di Catanzaro: “Continuate a inondarci di denunce perché sono la nostra benzina”.

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