I depistaggi dei quali continuiamo ad essere vittime dopo l’omicidio di Stefano Cucchi da 10 anni a questa parte ci impongono alcune riflessioni ad animo sereno. È pure di oggi la notizia del rinvio a giudizio (che non equivale certo ad una sentenza di condanna) di 28 Carabinieri “per insulti razzisti e botte” inflitti per anni ad immigrati. Tutto ciò non contribuisce certo a rassenerare il clima all’interno ed all’esterno dell’Arma dei Carabinieri. Una delle più antiche e prestigiose istituzioni del nostro Paese. Già, del nostro Paese. L’Italia. Senza voler tanto voler filosofeggiare l’Italia siamo tutti noi. Istituzioni, forze dell’ordine, rappresentanti politici, magistrati e soprattutto i cittadini, il popolo italiano in nome e nell’interesse del quale dovrebbe stare in piedi tutto il resto. Amor di patria, coesione, senso di appartenenza e spirito di corpo sono valori che debbono essere giustamente evocati a modello e guida del perseguimento del bene comune della Nazione. Fondanti la nostra Costituzione.

Ma che sta succedendo? Sta accadendo che proprio questi concetti sono sempre più diventati strumento ed oggetto di divisioni e discriminazioni in un contesto di mordente crisi socio-economica, unita ad una gravissima crisi di credibilità che sta colpendo, di pari passo, la rappresentanza politico-istituzionale del nostro paese. Senso di appartenenza ed amor di Patria vengono usati come strumento di odio nei confronti di immigrati disperati che tentano di raggiungere il nostro paese al pari di quelli che già vi sono arrivati e che magari si sono pure integrati. Lo spirito nemmeno tanto subdolo è quello del mors tua vita mea. Se ce n’e per te allora non ne rimane per me che ne ho più diritto di te.

La salvezza quindi del nostro sistema economico e sociale con la soluzione del terribile problema della povertà che sta colpendo sempre più numerose famiglie italiane, passerebbe attraverso il sacrificio dei diritti fondamentali (financo alla vita) di persone diverse da noi e quindi di minore valore ed importanza. Volutamente non uso la parola razzismo perché è qualcosa di diverso e più pericoloso. È il terrore ed odio per coloro che vogliono entrare nel nostro “corpo” e nutrirsi di esso quando questo è già per molti troppo magro. Non è la cattiveria che lo genera ma il panico che si insinua in ciascuno di noi per la paura di non farcela. L’angoscia che si prova quando ci si alza alla mattina nella assoluta incertezza di riuscire a garantire le prime necessità per se stessi e per la propria famiglia, quella che ti fa andare a letto col respiro corto e non ti fa dormire perché ti pare di non vedere soluzioni. Paure che in buona parte sono purtroppo reali ed in altrettanta buona parte sono etero indotte.

È questo che genera ostilità e cattiveria nei confronti di coloro che si percepiscono diversi e quindi concorrenti, nemici per il pane quotidiano.

I confini dello spirito di appartenenza si restringono sempre più anche all’interno di quelli del nostro Paese, trovando limiti sempre più ridotti: l’ambiente territoriale in cui si vive, la categoria lavorativa cui si appartiene od apparteneva se un lavoro non lo si ha più, la natura comune dei problemi economici e delle difficoltà sociali che ci affliggono.

Ecco che, allora, l’amor di Patria sfuma dalla sua più nobile concezione per trasformarsi in qualcosa di molto diverso, mera occasione, cioè, per giustificare ideologie e comportamenti umanamente inaccettabili permeati da preoccupante e cieca ostilità. Gli ambiti del senso di appartenenza e del cosiddetto spirito di corpo assumono significati e valori diversi.

Nella perdita della visione e fiducia dello Stato e della sua capacità di soddisfare i bisogni essenziali di tutti i suoi cittadini, si allarga a macchia d’olio la percezione di poter fare affidamento solo su coloro che versano nelle proprie stesse e specifiche condizioni sociali ed economiche, concependo quelle diverse, nella migliore delle ipotesi, come corpi estranei portatori di interessi e posizioni distinte e, qualche volta, anch’esse concorrenti se non antagoniste.

Tutto questo va in senso opposto ai modelli nobili di solidarietà, coesione, cooperazione. Uniche vie di possibile reale progresso sociale ed economico che possa migliorare le condizioni di vita dei più deboli, di coloro che, sempre in maggior numero, si trovano costretti in situazioni di gravi difficoltà.

Creano contrapposizioni spesso ingiustificate ed irrazionali e pericolosi conflitti.

Lo spirito di corpo è quello di aiutare il “collega” in difficoltà (di qualsiasi natura possano essere) nei confronti “degli altri”, di fare gruppo, famiglia, dare solidarietà a tutti gli appartenenti, nella sfiducia per la reale possibilità che lo Stato possa effettivamente risolvere i tuoi e loro problemi in ambiti diversi quali possono essere le reali e difficilissime condizioni nel quale quotidianamente si è costretti a svolgere il proprio prezioso lavoro. Insomma nella amara presa d’atto della mancanza di riconoscenza da parte dello Stato per ciò che fai.

Si tratta di una vera e propria malattia depressiva che si sta diffondendo in ogni ambito della cosiddetta società civile e che non risparmia certo coloro che lavorano per le Istituzioni che potrebbe portarci, per usare una metafora ludica fanciullesca, come si usava fare nei giochi da bambini, ad una specie di “tutti contro tutti”.

La frustrazione d’altronde è profonda nel dover assistere allo spettacolo quotidiano di una classe politica che, senza distinzione alcuna, fa dell’antagonismo sempre più estremo e sterile il proprio unico modello di azione inseguendo consensi spesso sul terreno di una violenza dialettica terrificante. Anche qui la cultura del nemico. Dell’avversario da respingere e dileggiare a prescindere da ciò che dice e vuol fare. Solo per la maglia che ha. In egual modo occorre difendere ed aiutare i colleghi di casacca che possano trovarsi in difficoltà per aver commesso gravi errori o sostenuto posizioni civilmente inaccettabili o addirittura compiuto anche gravi reati. Non sto parlando, ovviamente, di un fenomeno che va circoscritto, nella sua genesi, alla sola realtà dell’oggi ma ha radici ben più lontane.

I pericoli più grandi per il suo possibile dilagare senza più freni e limiti li vedo nella mancata tutela dei diritti umani che viene sempre più culturalmente accettata in nome di falsi interessi superiori, e nella rassegnata presa d’atto che la legge che dovrebbe essere uguale per tutti in realtà così spesso non è.

Tutti debbono essere uguali di fronte alla legge perché questo non vuol dire altro che aver rispetto per l’umanità nostra, di cittadini italiani e, conseguentemente, della dignità nostra ma anche di quelle degli altri.

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