È una scelta difficile per l’Italia, dove il 95% del biodiesel è prodotto con olio di palma, ma l’Europa va in questa direzione: l’olio di palma dovrà scomparire dai biocarburanti entro il 2030. A dire il vero, la nuova legge sull’energia verde (direttiva 2018/844), approvata il 30 maggio 2018 dal Parlamento Europeo dopo due anni di complessi negoziati, impone alle compagnie petrolifere l’obbligo di dichiarare la presenza di olio di palma e fissa un limite massimo di sussidi ai biocarburanti prodotti dalle colture alimentari. L’accordo raggiunto tra Commissione, Consiglio europeo e Parlamento, nell’ambito del programma di incremento dell’uso di energia prodotta da fonti rinnovabili e dopo un lungo braccio di ferro, prevede l’eliminazione graduale delle colture ‘ad alto rischio’ di deforestazione (anche se il Parlamento aveva proposto lo stop entro il 2021). Un accordo che non piace per nulla ai Paesi del Sud-Est asiatico direttamente interessati, ossia Indonesia e Malesia (insieme producono oltre l′80 percento dell’olio di palma mondiale) e che avevano già minacciato ritorsioni. Reazioni a parte, l’ultima parola spetta alla Commissione Europea che deve emanare un regolamento d’attuazione entro il primo trimestre 2019, prima delle elezioni europee, per poi poter essere approvato entro la fine del 2019. Meno di tre mesi di tempo per mettere nero su bianco le misure che dovrebbero rendere concreto questo passaggio.

L’OMS SULLE LOBBY – Nel frattempo, però, il dibattito resta aperto. Nei giorni scorsi l’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato un’analisi condotta da un gruppo di scienziati nella quale si accusa l’industria dell’olio di palma di adottare pratiche simili a quelle messe in atto dalle lobby del tabacco e dell’alcool per influenzare la ricerca scientifica. L’obiettivo sarebbe quello di contestare regole più stringenti e confondere le acque su quelli che sono i rischi legati alla coltivazione e all’uso dell’olio di palma.

LA BATTAGLIA CONTRO LA DEFORESTAZIONE – Agli inizi di dicembre, un gruppo di attivisti di Greenpeace si è incatenato davanti allo stabilimento della multinazionale Mondelēz, che nella sede di Capriata d’Orba (Alessandria) produce snack contenenti olio di palma per il mercato italiano. Sempre a fine 2018, mentre attraccava nel porto di Rotterdam, una nave cisterna carica di prodotti di Wilmar, il più grande fornitore globale di olio di palma (che controlla il 40% circa del commercio globale), è stata oggetto di un’azione non violenta da parte di Greenpeace. Poche settimane dopo, in seguito ad anni di manifestazioni, pressioni, dossier, Wilmar International ha annunciato che entro la fine del 2019 mapperà tutti i terreni appartenenti ai propri fornitori per monitorare quanto accade nelle piantagioni, anche attraverso l’uso di satelliti ad alta risoluzione. Se un fornitore dovesse essere collegato a operazioni che danneggiano o distruggono la foresta, Wilmar sospenderà immediatamente le relazioni commerciali con questo operatore.

LA CAMPAGNA #SAVEPONGO – Ma se negli ultimi anni l’uso dell’olio di palma negli alimenti e nelle sostanze chimiche sta diminuendo, quello usato per il biodiesel è invece quadruplicato. L’Unione Europa prevede dei sussidi su questa pratica e definisce questi carburanti ‘green’. “I biodiesel a base di olio di palma – denuncia Legambiente – di sostenibile e verde hanno ben poco e contribuiscono, indirettamente, alla deforestazione e alla messa in pericolo della fauna selvatica”. Proprio per fare pressing sulla Commissione Europea è partita la campagna ‘#SavePongo’, lanciata da una coalizione di ong ambientaliste di tutta europa e promossa in Italia da Legambiente per chiedere la messa al bando dei carburanti prodotti con olio di palma “che provocano la distruzione delle foreste pluviali e – denunciano le associazioni – l’estinzione degli Orango. Questi primati non hanno più di che nutrirsi e, quando si avvicinano ai frutti delle palme, vengono uccisi”. Ogni giorno ne muoiono 25 a causa della deforestazione e dell’espansione delle piantagioni. Contestualmente alla campagna è partita anche la petizione #NotInMyTank su sumofus.org con l’invito a firmala entro il 21 gennaio, giorno in cui ci sarà la prima manifestazione europea organizzata dalle associazioni.

LA SITUAZIONE IN ITALIA – Se la Norvegia ha anticipato tutti e, a dicembre 2018, il Parlamento ha deciso di vietare in tutto il Paese l’utilizzo dell’olio di palma come biocarburante già a partire dal 2020 (si tratta del primo Paese al mondo che fa questo passo), per altre realtà non è così semplice. L’Italia è tra queste. Secondo i dati di Transport&Environment, nel nostro Paese il 95% del biodiesel è stato prodotto nel 2017 con olio di palma. Siamo, inoltre, il secondo maggiore produttore di biodiesel da olio di palma in tutta Europa: nel 2017, insieme a Spagna e Paesi Bassi, l’Italia ha raffinato l’83% di questo olio vegetale. Eppure, secondo un sondaggio Ipsos, l’87% degli italiani non sa di mettere questa materia prima nei propri serbatoi quando va a fare rifornimento. Legambiente ha lanciato un appello al ministro per l’Ambiente Sergio Costa e al ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio, affinché prevedano una drastica riduzione delle importazioni di olio di palma per usi energetici nel prossimo Piano Nazionale Clima ed Energia. “Già oggi – ha sottolineato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – si possono produrre biocarburanti avanzati che sostituiscono l’olio di palma, riciclando scarti in un’ottica di economia circolare, come l’olio di frittura che già costituisce una valida e competitiva alternativa”.

UN OLIO DI PALMA SOSTENIBILE – Da tempo si parla anche della possibilità di produrre olio di palma sostenibile attraverso una certificazione da ottenere seguendo criteri di conformità. Una strada che, secondo alcune ong, non risolverebbe il problema. C’è anche un’altra questione, messa in luce in un recente rapporto dell’International Union for the Conservation of Nature (Iucn), secondo il quale è vero che la distruzione della foresta pluviale per fare spazio alle piantagioni di olio di palma minaccia più di 190 specie in Indonesia e Malesia ma, allo stesso tempo, vietare questo tipo di produzione sostituendo le piantagioni con quelle di soia, mais e colza e ricavare così altri tipi di oli vegetali, porterebbe a un consumo di suolo nove volte superiore. Nel 2004 è nato il Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil), che riunisce coltivatori, raffinatori, industria manifatturiera, distributori e banche. Dal 2013 è attiva anche la certificazione Palm oil innovation group (Poig), supportata tra gli altri dal Wwf, Greenpeace e altre grandi aziende già certificate dal Rspo. Gli obiettivi sono quelli di preservare determinate foreste, ma anche garantire la tracciabilità del prodotto lungo tutta la filiera.

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