Fine della latitanza, per la seconda volta. La storia di Vito Bigione, manager del narcotraffico originario di Mazara del Vallo e organico alla famiglia mafiosa di Matteo Messina Denaro, somiglia alla trama di Prova a Prendermi, il film con Leonardo Di Caprio. Da tre mesi era tornato latitante – e nella lista dei trenta ricercati più pericolosi d’Italia – ma le indagini sulla sua fuga erano cominciate solo nell’agosto scorso dopo un articolo del Fatto Quotidiano. Stavolta gli uomini della Catturandi di Trapani dopo dieci giorni di pedinamento lo hanno arrestato in Romania mentre stava andando al supermercato, alle nove del mattino. Alla vista degli agenti ha mostrato un documento d’identità dicendo: “Mi chiamo Matteo“. “Non possiamo rivelare né il cognome né se il documento sia vero o falso”, dice Fabrizio Mustaro, capo della Squadra Mobile di Trapani. Camuffato con barba lunga, occhiali scuri e tuta d’ordinanza, si rifugiava in un appartamento al quarto piano di una palazzina nella cittadina di Oradea. In casa sono stati trovati – e sequestrati – diecimila euro in contanti e vari documenti che verranno analizzati dagli investigatori. Finisce così l’ultima fuga di Bigione, detto “il commercialista”.

Per anni è stato l’ambasciatore delle cosche in Africa trasferendosi prima in Camerun e poi nel 1998 in Namibia, fino all’arresto nel 2004 a Caracas, in Venezuela. Il suo core business era il traffico di cocaina a bordo di grandi imbarcazioni. La sua è una storia di complicità altolocate, pezzi da novanta di mafia e ‘ndrangheta, ma anche link con agenti dei servizi segreti. Era conosciuto come un rispettato armatore di una flotta di 12 pescherecci, ormeggiati in un porticciolo creato di proposito a mezz’ora d’auto da Walwis Bay, la cittadina in cui si trova il sontuoso “La Marina Resort”, ristorante affacciato sull’Oceano Atlantico. In molti hanno goduto della sua ospitalità e secondo alcune fonti anche Messina Denaro sarebbe stato visto in quelle zone. L’instantanea più fedele emerge dall’operazione Igres che nel 2003 svelò il suo ruolo di mediazione tra i cartelli colombiani, le famiglie di Cosa nostra (gli Agate di Mazara del Vallo) e ‘ndrangheta (i Marando di Platì), impegnate in un traffico di cocaina dall’America Latina fino alle coste europee. Per quella mega operazione di traffico di stupefacendi la corte di Cassazione lo aveva condannato definitivamente a 15 anni di carcere il 28 giugno scorso. Ma quando gli agenti del commissariato di Polizia di Mazara del Vallo – su indicazione della procura generale di Reggio Calabria – andarono a cercarlo nella sua abitazione non lo trovarono: era già fuggito.

Il suo nome era tornato d’attualità dopo l’operazione dei carabinieri Anno Zero dello scorso 19 aprile. I militari lo intercettarono tra agosto e novembre 2017 mentre tentava di far recuperare un credito di 20mila euro a un produttore di formaggi. Era fedele alla famiglia di Mariano Agate e ossequioso con Vito Gondola, l’ultimo capo riconosciuto, morto nel luglio 2017. Aveva ripreso a frequentare personaggi legati alla mafia mazarese, tra cui Dario Messina, poi arrestato nell’operazione Anno Zero. “Per abbracciare le cose di mano ci vogliono qualità”, diceva commentando le dinamiche della famiglia mafiosa. “Nel mio piccolo me le sono abbracciate le mie cose, Dariù..il Signore qua mi guarda”. E poi: “Ora, una volta che non c’è più sto cristiano, per dire, cos’è che dobbiamo fare? Noi parlavamo di questo in campagna”. L’ultima traccia l’aveva lasciata il 24 maggio scorso, durante un controllo dei carabinieri a Locri, in Calabria. Si trovava a bordo di un auto presa a noleggio, assieme ad altre due persone. Oggi sappiamo che dopo quell’incontro ravvicinato con i militari era tornato in Sicilia. Il 6 giugno, quindi, la Cassazione ha chiesto ai carabinieri di Trapani di “attivare un’adeguata vigilanza” per “prevenire eventuali evasioni o sottrazioni a provvedimenti di esecuzione della pena”. In quel momento, però, Bigione aveva iniziato la sua latitanza.

Le indagini sulla sua fuga – basate su un mandato di cattura europeo disposto dalla procura generale di Reggio Calabria – sono iniziate il 4 agosto e sono state coordinate dal procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Guido e dai sostituti Alessia Sinatra e Francesca Dessì. A condurre quella che è diventata una vera e propria caccia all’uomo è stato il gruppo Catturandi della Squadra mobile di Trapani in collaborazione con il Servizio centrale operativo, la Squadra Mobile di Palermo e un reparto specializzato nella cattura di latitanti della Polizia romena che – Mefisto alla testa – ha eseguito l’arresto. La ricerca è partita seguendo i suoi familiari più stretti e il nucleo di amici storici. “È stata un’indagine vecchio stampo – dice uno degli investigatori – abbiamo lavorato h24 con sacrifici quotidiani”. Adesso Bigione dovrà essere estradato ma già da oggi sono iniziate nuove indagini sulla documentazione sequestrata nel suo appartamento e su alcune persone che sono in corso di identificazione. “Non è da escludere che anche in Romania fosse attivo”, conclude Mustaro. Piste da sviluppare che adesso potrebbero condurre anche a Matteo Messina Denaro, capo della famiglia mafiosa di Trapani, ricercato dal 1993.

Articolo Precedente

Trattativa, la procura non fa appello: definitiva l’assoluzione di Mancino. Lui: “Felice ma non richiamerei D’Ambrosio”

next
Articolo Successivo

Mafia, Marcello Dell’Utri non torna in carcere: dal tribunale di sorveglianza ok ad altri cinque mesi ai domiciliari

next