Un milione e mezzo di euro sequestrato al boss Salvatore Riina e ai suoi familiari. Scattano i sigilli per il tesoretto del capo dei capi. Il sequestro dei carabinieri del Ros e quelli del comando provinciale di Palermo e Trapani riguarda società, una villa, 38 rapporti bancari e, soprattutto, numerosi terreni del padrino corleonese, tra i quali anche appezzamenti che appartengono formalmente alla Curia. L’inchiesta nasce dai redditi dichiarati negli anni da Riina e dai suoi congiunti da cui è stato possibile ipotizzare l’utilizzo di mezzi e di risorse finanziarie illecite.

La famiglia del capomafia, detenuto dal 1993, ha potuto contare su molto denaro, malgrado i numerosi sequestri di beni subiti nel tempo e a fronte dell’assenza di redditi ufficiali. La moglie del padrino, Ninetta Bagarella, è riuscita a emettere tra il 2007 e il 2013 assegni per oltre 42.000 mila euro a favore dei congiunti detenuti. In carcere c’erano il figlio maggiore Giovanni, che sconta l’ergastolo, e il più piccolo, Giuseppe, ora tornato libero dopo una condanna per mafia.

Il sequestro comprende, inoltre, una villa di 5 vani a Mazara del Vallo in cui Riina avrebbe trascorso la latitanza coi suoi. Le indagini hanno ricondotto l’effettiva proprietà dell’immobile, intestata a un prestanome. Dopo l’arresto il capo dei capi l’ha ceduta al fratello Gaetano che l’ha occupata ininterrottamente attraverso un finto contratto di affitto.  Le intercettazioni hanno rivelato che l’abitazione è stata oggetto di una lite familiare tra Gaetano Riina e la cognata che ne rivendicava la proprietà.

Il sequestro riguarda anche beni che si trovano nelle province di Lecce e Brindisi formalmente intestati a Antonino Ciavarello, genero di Salvatore Riina. Le imprese commerciano in autovetture e, stando agli esiti delle indagini patrimoniali, sono state costituite con denaro sporco. Infatti, l’esame incrociato della contabilità delle aziende ha evidenziato una sperequazione di ben 480 mila euro, immessi per lo più in contanti ed in numerose tranche nei patrimoni sociali senza alcuna giustificazione legale.

Alla famiglia Riina apparterrebbero anche i terreni dell’azienda agricola dell’ente Santuario Maria Santissima del Rosario di Corleone appartenente alla Curia. Dalle indagini, infatti, è venuto fuori che Riina e la sua famiglia controllavano e gestivano un appezzamento di terreno del santuario attraverso Vincenzo Di Marco, storico giardiniere e autista del boss e, dal 2001, attraverso suo figlio, Francesco Di Marco.

Erano il padrino corleonese e i suoi che di fatto decidevano sia sull’utilizzo dei terreni che sulla distribuzione delle rendite, esautorando il legale rappresentante dell’azienda. L’impresa è stata messa in amministrazione giudiziaria per sei mesi “allo scopo – si legge nel provvedimento del tribunale di Palermo, che ha disposto il sequestro dei beni – di consentire la rimozione degli ostacoli al libero esercizio delle attività aziendali depurandole dalle infiltrazioni mafiose”.

Decisivi i riscontri emersi da una indagine dei carabinieri del 2012, che ha scoperto una controversia per la gestione dei terreni tra il figlio del capo mandamento, Leoluca Lo Bue, e Francesco Di Marco. Alla fine la contesa era stata decisa dalla moglie di Riina, Ninetta Bagarella a favore di Di Marco. Per gli inquirenti è l’ennesima prova che l’anziano e malato capo di Cosa nostra, nonostante la lunga detenzione al 41 bis, sia riuscito e riesca a imporre il proprio volere condizionando le dinamiche criminali non solo interne al mandamento di Corleone, ma anche nei più generali assetti dell’organizzazione mafiosa.

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