Vogliono plastificare la Laguna di Venezia, piantare decine di migliaia di pali sintetici di polietilene con anima d’acciaio per sostituire le tradizionali bricole in legno, corrose dai vermi di mare. “Palo fa palù”, un palo crea palude, dicevano ai tempi della Serenissima, che aveva istituito un apposito magistrato a salvaguardia dell’equilibrio idrogeologico. Perché ogni palina (per barche e gondole), o bricola per delimitare i canali navigabili, poteva diventare un nucleo di interramento della laguna e quindi rivelarsi pericolosa per il fragilissimo ecosistema veneziano. Ma quelli erano altri tempi. Oggi, dentro una cornice di risorse economiche scarse, sono in atto pericolose semplificazioni. Lo ha denunciato Sara Visman, consigliere comunale Cinquestelle a Venezia. “Come mai, visto che i pali naturali protetti da trattamento antiteredine mediante graffettatura metallica, rispondenti alla tradizione, paesaggisticamente compatibili e che sono stati riconosciuti come adatti per tutti gli usi, non sono stati preferiti nell’impiego rispetto a quelli prodotti con materiali alternativi (sintetici)?”. La domanda è contenuta in un’interrogazione presentata all’assessore comunale alla Mobilità Renato Boraso.

Il problema è spinoso, la polemica aperta, visto il rischio di piantare sui fondali, nel tempo, una foresta di 50mila pali di plastica. Nonostante un approfondito lavoro di ricerca nel 2011 avesse individuato i materiali corretti da impiegare per evitare scempi ecologici. A partire dal legno chiodato. Da allora è in corso una guerra fatta di carte bollate e progetti mancati, che viene da lontano, dai tempi in cui sulla laguna imperava il Consorzio Venezia Nuova di Giovanni Mazzacurati, capace di controllare il Magistrato alle Acque, come hanno dimostrato le inchieste dello scandalo Mose. Le bricole godono di pessima salute. Questo il punto di partenza. Da quando l’azione dell’uomo ha portato allo scavo dei canali (anche per il progetto Mose) lo scambio di masse d’acqua tra mare e laguna ha provocato l’ingresso di microrganismi come le teredini, volgarmente dette vermi di mare. Si nutrono di cellulosa e attaccano le paline, che del paesaggio veneziano sono una componente irrinunciabile, oltre che fattore di sicurezza per la navigazione. Di recente 4.252 diportisti hanno firmato una petizione inviata al governo per segnalare che le bricole si sbriciolano. La risposta dell’onorevole Andrea Causin, sottosegretario che si occupa del degrado di città e periferie, è sembrata aprire una via ai materiali sintetici: “C’è uno scoglio normativo da superare, per garantire a parità di estetica l’utilizzo alternativo di materiali plastici di maggiore durata e minori costi, rispetto ai vincoli attuali di utilizzare solamente pali in legno”.

Ecco il feticcio, la plastica non corrosa dai vermi voraci. E’ un dibattito che viene da lontano. Nel 2001 fu avviata una sperimentazione (che coinvolgeva anche Cnr, università di Venezia e Padova) per elaborare un protocollo d’intesa sui materiali compatibili con la Laguna. Nel 2011 il protocollo fu firmato e recepì l’innovativo utilizzo del legno graffettato, ovvero pali in castagno o rovere che con l’inserimento di ferro diventa inattaccabile dalle teredini. In compenso ha una tossicità pressoché nulla e nessun impatto estetico. Il pioniere è il bioarchitetto veneziano Sandro Castagna, che ne ha tratto un brevetto utilizzato anche nei porti canadesi. Con il protocollo, invece, si prendeva tempo per i materiali sintetici e si richiedeva di “approfondire attentamente la ricerca chimico fisica per verificare il rilascio di microplastiche con danni diretti sugli organismi, ovvero l’ostruzione del canale alimentare, e indiretti, come veicolo per specifici microinquinanti”.

Ma nel febbraio 2015, quando il comune era retto da un commissario straordinario dopo l’arresto e le dimissioni del sindaco Giorgio Orsoni, ecco spuntare un protocollo integrativo che cambiava le conclusioni della sperimentazione e autorizzava sia il legno (nei rii del centro storico) che il poliuretano espanso, il materiale riciclato e il polietilene. La plastica tornava in gioco. “Ma questi materiali sono sintetici, tossici e cancerogeni, dannosi per l’ambiente acquatico marino e per la salute dell’uomo” denuncia l’architetto Castagna che ha impugnato quella deliberazione al Tar due anni fa. In attesa dei giudici (il Tar non brilla in celerità) non c’è manutenzione e non ci sono soldi. Lo ha ammesso di recente il provveditore interregionale alle Pubbliche, ovvero l’ex Magistrato alle Acque di Venezia, Roberto Linetti: “Non abbiamo risorse, solo 300mila euro per le paline”.

Si profila così il dilemma tra sicurezza ed ecologia. Contro questa impostazione insorgono ora i Cinquestelle che chiedono vigilanza, rispetto delle regole e verifica dei costi comparati tra paline di legno e di plastica. Il bio-architetto Castagna rincara la dose: “Se si volesse optare contro ogni buonsenso e ogni regola e palificare l’intera laguna con pali sintetici, per piantare tra 50 e 90mila pali ci vorrebbero, per l’intero parco, tra 90 e 162 milioni di euro circa, per la sola fornitura, senza contare la posa in opera”. Lo dice a ragion veduta perché ha calcolato che una bricola sintetica costa 1.800 euro a piè d’opera mentre le alternative ecologiche (paline graffettate certificate eco-FeO wood protection system ) costano la metà, 920 euro a pie’ d’opera. Castagna ha anche scritto al presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, e al governo: “Il Concessionario Unico Consorzio Venezia Nuova, ‘interferendo’, se non dirigendo di fatto la ricerca, ha voluto considerare erroneamente il materiale composto chimico sintetico come e sola panacea o rimedio assoluto alla manutenzione ordinaria. Ma si è dimenticato il fattore economico…”. Per finire, ha scritto all’Unesco, denunciando il rischio ambientale dovuto alle paline in plastica.

Articolo Precedente

Milano, 25 contenitori per la raccolta di pile esauste nelle sedi del Politecnico

next
Articolo Successivo

Lega Nord e territorio, l’esempio del Veneto /2 – Il prosecco

next