Ramadan, nono mese del calendario lunare islamico. Un mese sacro per i musulmani di tutto il mondo che, con l’intento di avvicinarsi a Dio, dedicano 30 giorni (nel 2017 dal 26 maggio al 24 giugno) al digiuno e alla preghiera, in un tentativo di purificazione spirituale. Nel Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, però, il mese sacro diventa un pretesto per sferrare il maggior numero di attacchi possibili contro gli apostati e i miscredenti. Un’immolazione, quella del “fedele” che uccide i traditori dell’Islam, che nella retorica jihadista viene interpretata come il più alto gesto di dedizione e sottomissione a Dio. Così, ogni anno alla vigilia del Ramadan, i vertici dello Stato Islamico invitano combattenti e lupi solitari a colpire con ogni mezzo e in ogni luogo gli “infedeli”.

“Il Ramadan è da 14 secoli un momento di contemplazione, ritiro e digiuno per la ricerca della pace interiore e di un senso di vicinanza col divino – spiega a ilfattoquotidiano.it l’imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini, Presidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana (Coreis) – Pensi quanto questi terroristi sono lontani dai veri musulmani. Ogni anno disonorano il Ramadan”. Nella simbologia del Califfato, il mese del digiuno ha da subito assunto un ruolo centrale in funzione militare ed è proprio nell’arco di questi 30 giorni che l’attività terroristica delle bandiere nere fa registrare dei picchi, conseguenza della massiccia propaganda dei vertici di Raqqa. È nel primo giorno del mese sacro che l’autoproclamato Califfo, dal Minbar (pulpito) della Grande Moschea di al-Nuri, a Mosul, ha dichiarato la nascita del nuovo Califfato di Siria e Iraq e contemporaneamente guerra all’Occidente e a tutti coloro che avevano deciso di non vivere secondo la sua interpretazione estremista della Sharia.

Nel 2015, pochi giorni prima dell’inizio del mese del digiuno, lo Stato islamico ha diffuso un audio nel quale l’allora portavoce del Califfato, Abu Muhammad al-Adnani, si appellava “ai musulmani affinché trasformino il mese sacro di Ramadan in una devastazione per infedeli, sciiti e apostati”. Detto fatto: il giorno di sangue è il 26 giugno. In una fabbrica vicino a Lione, un dipendente viene decapitato da un uomo che lascia vicino al cadavere una bandiera dello Stato Islamico. In Tunisia, sulla spiaggia di due resort di Sousse, un uomo armato di kalashnikov spara sugli ospiti della struttura, uccidendone 38. Sempre lo stesso giorno, l’Isis rivendica un terzo attacco suicida all’interno della moschea sciita Imam al-Sadiq, a Kuwait City: 27 i morti.

Il 21 maggio 2016, a due settimane dall’inizio del mese sacro, è sempre al-Adnani a invitare i musulmani a colpire nuovamente “infedeli, crociati ed ebrei”: “Il Ramadan sta arrivando, il mese degli attacchi e del jihad, il mese della conquista. Siate certi di fare l’attacco in nome di Allah”. La prima sanguinosa risposta arriva nella notte tra l’11 e il 12 giugno, quando Omar Mateen fa irruzione nel night club Pulse di Orlando, frequentato prevalentemente da omosessuali, e a colpi di fucile semiautomatico uccide 49 persone. Due giorni dopo, un lupo solitario accoltella marito e moglie poliziotti a Magnanville, in Francia, uccidendoli entrambi. Il 27 giugno è la volta del Libano: otto kamikaze dello Stato Islamico si fanno esplodere in diversi luoghi del villaggio cristiano di al-Qaa, uccidendo sei persone. Un giorno dopo, tre attentatori suicidi colpiscono l’aeroporto Ataturk di Istanbul, Turchia, provocando 45 vittime e 239 feriti. Infine, il 1 luglio Daesh rivendica l’attentato in un ristorante di Dacca, in Bangladesh, nel quale muoiono 22 civili.

Il Ramadan 2017 non tradisce le aspettative dei miliziani jihadisti che il 26 maggio hanno chiesto ai sostenitori in Occidente di sferrare attacchi e ottenere il martirio nel mese sacro: “I fratelli musulmani che non possono raggiungere le terre dell’Isis li attacchino nelle loro case, nei loro mercati, nelle loro strade e nelle loro piazze”, hanno detto gli uomini del Califfato in un video diffuso su Youtube. Appena quattro giorni prima c’erano stati 22 morti nell’attentato di Manchester, poi, fino ad oggi, ci sono stati gli attacchi ai cristiani copti in Egitto, a Londra, Melbourne, Parigi, Kabul e Teheran. Oltre cento morti.

“La violenza inaudita di questi fanatici – spiega Pallavicini – è una totale contraddizione, senza appiglio o base dottrinale che la possa ricollegare al significato del Ramadan. È un contrasto evidente con il significato del mese sacro che dovrebbe essere dedicato alla ricerca della pace interiore e al tentativo di avvicinarsi a Dio attraverso il digiuno, la purificazione e la preghiera”. Un contrasto che si manifesta in molti altri messaggi che i combattenti di al-Baghdadi diffondono per scuotere gli animi dei loro sostenitori: “Esistono vari esempi della loro totale ignoranza – continua l’imam – Uno è ad esempio l’uso improprio del termine jihad, che significa sforzo interiore per far prevalere il bene sul male. Niente a che vedere con le uccisioni indiscriminate di innocenti, donne e bambini o la distruzione di tombe e simboli religiosi praticate dagli uomini di Daesh. Siamo lontani dall’idea di lotta o combattimento, questa è persecuzione, un concetto opposto alla dottrina dell’Islam, che non si può ritrovare nei testi. Anche a livello di predica in senso stretto si trovano continuamente stravolgimenti del significato dei testi sacri: ad esempio, al-Baghdadi ha citato un passo in cui ‘il Profeta è venuto con la spada come una misericordia’. Quel ‘con la spada’ lo ha inserito lui, non si trova nei testi”.

Uno degli errori di partenza di questa “cultura religiosa da Bignami”, come la definisce Pallavicini, è il non tenere conto che il messaggio presente nei testi sacri non può essere diffuso da chiunque. Esistono “scienziati della religione”, gli Ulema, che grazie ad anni di studi hanno raggiunto una conoscenza tale da poter interpretare e, quindi, diffondere il messaggio presente nel Corano. “Nessun consigliere di Daesh è un Ulema. I versetti non possono essere decontestualizzati, strumentalizzati e ridotti a slogan come fanno loro. Sono degli sciacalli dell’Islam”. Alcuni esperti sostengono che l’interpretazione dello Stato Islamico trovi le sue fondamenta nella dottrina wahabita, movimento relativamente recente di stampo sunnita sviluppatosi soprattutto in Arabia Saudita. Da qui, ad esempio, l’idea che non si possano adorare simboli, immagini o oggetti attribuendo loro un carattere divino. “Nonostante, personalmente, abbia delle riserve su alcuni aspetti del Wahhabismo – conclude il presidente Coreis -, non mi sembra che in Arabia Saudita vi sia uno Stato che distrugge reperti storici o decapiti tutti i non-wahhabiti. Quello con Daesh è un parallelo che non posso accettare”.

Twitter: @GianniRosini

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