La bizzarra discussione sulla legge passata in prima lettura alla Camera inerente la legittima difesa deve indurre a riflettere, non tanto sul tentativo di introdurre in Italia una legittima difesa all’americana, quanto su chi, come, quando e perché legiferi.

Si fa presto a dire “la legge dice”, locuzione da noi tanto abusata quanto proprio ignorata spesso da chi pretende di invocare a vanvera contenuti legislativi di materie non meglio specificate. Al pari dell’altra paradossale locuzione spesso abusata, quale “per motivi di privacy non glielo posso dire” o altre amenità del tipo “il voto è segreto” (sì ma nell’urna. Poi sei libero di dichiararlo a chi vuoi).

Chiariamo subito che per “legge” ci si riferisce comunemente a una fonte avente valore di legge (dunque primaria) o a una fonte regolamentare (dunque secondaria). A queste in realtà si aggiungono numerose altre fonti di legge, prevalendo o meno a quelle primarie o secondarie, quali le fonti internazionali e comunitarie, la Costituzione, consuetudini etc.

Pertanto la “legge” genericamente richiamata nulla è che un coacervo amplissimo di fonti legislative, di varia provenienza quanto ai soggetti legittimati a scriverla, eterogenea tanto nei contenuti quanto nei soggetti destinatari (non sempre per la generalità dei consociati), di incerta applicazione poiché spesso il nostro legislatore interno si dimentica (o ancor peggio finge di dimenticarsi) di abrogare le norme incompatibili o superate, non ultimo si dimentica di ordinare le varie fonti inerenti la stessa materia, ingenerando così dubbi, perplessità, problemi di non facile soluzione.

Pertanto il “legislatore italiano” ha una identità soggettiva assai varia a seconda della fonte da approvare: legge, decreto legge, decreto legislativo, legge costituzionale, codici, regolamento, decreto ministeriale, legge regionale, delibere comunali e molto altro ancora. Un mare magnum quello legislativo ignoto a chiunque. Innanzitutto perché destinato a cambiare di continuo (di fatto ogni giorno) e poi perché talmente vario e complesso da rendere impossibile (e forse inutile) racchiuderlo tutto in un sol “codice”. A mala pena vi riescono le migliori banche dati giuridiche, peraltro quotidianamente aggiornate. Pertanto facciamo una prima amara riflessione: nessuno conosce tutte le fonti di legge e spesso si fatica pure a conoscere tutte le fonti inerenti una specifica materia.

La competenza di chi legifera non sempre viene rispettata, generandosi ogni anno eccessi di delega del Governo o profili di illegittimità evidenti per i Consigli (o anche Giunte) regionali e conflitti con lo Stato. Dunque tanti contenziosi che vanno ad appesantire la nostra giustizia. L’oggetto della “legge” raramente viene trattato dal legislatore compiutamente e in modo da evitare vuoti normativi, e dunque contestualmente onde evitare di assegnare un ruolo oltre modo indebitamente suppletivo alla giurisprudenza, chiamata(si) spesso a colmare le lacune (si pensi solo alle c.d. sentenze additive della Corte Costituzionale o alla giurisprudenza creativa, a volte tuttavia anche innovativa e utile).

Si legifera spesso in modo umorale e per l’accatto di voti. Dunque in modo elettorale. Un tempo il “legislatore” genericamente inteso era forse maggiormente selezionato perché accedevano a tali funzioni soggetti esclusivamente, o quasi, qualificati. Ossia con un bagaglio tecnico più appropriato. Da molto tempo l’accesso alla politica non è più consentita solo -ed è meglio così- all’élite. Ovviamente ciò però può generare mostruosità come il porcellum, gli esodati, riforme costituzionali matrioska, legittima difesa notturna e altre amenità simili, giusto per ricordare alcune tra le più note.

Si aggiunga poi come spesso i contenuti dei testi vengano scritte in realtà da altri o viziate: lobbies, oscuri tecnici ministeriali, ad personam, conflitto d’interesse etc.. Dunque con il fine preciso di raggiungere scopi non dichiarati. Non sono illazioni. Basta prendere in mano una qualsiasi fonte legislativa per comprendere di non poter comprendere alcunché. Dal fisco alla previdenza, dalla tutela dei diritti al sistema bancario.

In Italia vi è dunque un problema serissimo inerente l’incapacità del “legislatore” (deputati, senatori, consiglieri regionali e comunali etc.) di scrivere fonti chiare, semplici, ordinate, compiute, leali. Tutto questo ha serissime conseguenze, ingenerando un ricco contenzioso e dunque contribuendo ad affossare la giustizia italiana. E credetemi quelli che scrivono male raramente sono avvocati, commercialisti, magistrati per spirito di conservazione. Spesso ne sono le vittime. L’analfabetismo legislativo (colposo o doloso) ha dunque un costo sociale, culturale, economico enorme.

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