Chi va al mare sicuramente ricorderà di aver visto, almeno una volta, qualche cetriolo di mare (volgarmente “cavolo di mare“, nome scientifico “oloturia“) adagiato sul fondo. Ma pochi sanno che quel cilindretto molliccio e un po’ repellente è un organismo marino di importanza fondamentale per la depurazione degli inquinanti batterici presenti nell’ambiente marino. E quindi giustamente la Cassazione ha ritenuto, in una sentenza appena pubblicata (sezione terza, n. 18934 del 20 aprile 2017), che esso vada protetto e che la sua pesca in quantità rilevanti può integrare il nuovo delitto (ecoreato) di inquinamento ambientale.

Ma andiamo con ordine ed iniziamo dai fatti accertati: i giudici del Tribunale di Taranto sequestrano immobili, locali e mezzi di trasporto utilizzati da una società responsabile della pesca e della commercializzazione di tonnellate di esemplari di oloturie “asportando totalmente dai fondali marini attaccati tale specie ittica e cagionando, così, un grave danno alla biodiversità presente nei tratti di mare interessati, nonché l’alterazione grave ed irreversibile dell’ecosistema marino“. Più precisamente – specifica il Tribunale – dalle indagini svolte era risultato che soltanto nel periodo gennaio-luglio 2015, risultavano esportate dalla società incriminata, 353.278 Kg di prodotto lavorato, pari ad oltre 2.000.000 di esemplari di oloturie vive, per un controvalore di euro 2.498.000,00, con destinazione Hong Kong, ove i cetrioli di mare vengono commercializzati per fini alimentari, usi medicinali ed impiego nel settore della cosmesi. Comportamento continuato fino ai nostri giorni.

Contro il sequestro presenta ricorso la società sostenendo che esso è da considerare legittimo in quanto non vi è alcun divieto di pesca e commercializzazione delle oloturie e non vi è alcuno studio scientifico italiano sulle conseguenze della pesca delle oloturie, con consequenziale impossibilità di quantificare il danno all’ecosistema marino e stimare in termini misurabili il grado di compromissione ambientale e di alterazione dell’equilibrio ecologico derivanti da tale attività. La notevole diffusione delle oloturie poi non permetterebbe di includerle tra le specie in via di estinzione, e la loro pesca, lungi dal determinare l’alterazione irrimediabile richiesta dalla legge, potrebbe, al più, determinare una semplice riduzione della specie. Dunque non si tratta di delitto di inquinamento ambientale.

Si arriva così alla sentenza della Cassazione, che respinge il ricorso e convalida l’operato del Tribunale di Taranto, fornendo alcune importanti precisazioni circa il delitto di inquinamento ambientale.

L’ostacolo più grosso era costituito dal fatto che la legge non vieta la pesca e la commercializzazione delle oloturie mentre il delitto contestato richiede che si sia agito “abusivamente“(dell’inopportunità di questo avverbio già abbiamo parlato su questo blog). Per superarlo la Cassazione ha dovuto allargare al massimo la sua portata includendovi, come evidenziato dal Tribunale, “l’uso di strumenti vietati per la pesca o il difetto di titoli abilitativi”. Ma, se si fossero usati strumenti di pesca non vietati e vi fossero stati i titoli abilitativi, la presenza dell’avverbio “abusivamente” avrebbe impedito ogni intervento di difesa delle nostre risorse ittiche, pur di fronte a fatti di così rilevante gravità.

Quanto a quest’ultimo requisito, la Cassazione pone in evidenza “il progressivo trasferimento dei pescatori tarantini, riscontrato negli ultimi mesi, dalle abituali zone di pesca, verso il confine con la provincia di Lecce, dato ritenuto chiaramente indicativo di un concreto depauperamento dei fondali e tale da far ritenere verosimile l’ipotesi che la pesca delle oloturie effettuata con le modalità accertate dalle indagini stia portando all’estinzione della specie nei fondali marini ionici”. Ed è, quindi, evidente, per la suprema Corte, che il depauperamento della fauna in una determinata zona con una drastica eliminazione degli esemplari ivi esistenti implica una compromissione o un deterioramento dell’ecosistema, da intendersi, in assenza di specifica definizione, quale equilibrata interazione tra organismi, viventi e non viventi, entro un determinato ambito. E poco importa, a questo punto, che le oloturie non siano individuate tra le specie in via di estinzione.

Come si vede, si tratta di affermazioni importanti per noi tutti perché la vita del mare costituisce anche la nostra vita e occorre assolutamente mettere un freno a dissennate campagne di pesca che già hanno ridotto al minimo le risorse dei nostri mari. Ed è auspicabile che intervengano al più presto non solo il nostro legislatore ma anche e soprattutto i nostri pescatori che dovrebbero essere i primi a sapere che una pesca così massiccia ed indiscriminata può essere redditizia nell’immediato ma letale per il nostro futuro.

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