Certo, non farà l’errore di D’Alema: non punterà sulle elezioni amministrative per chiedere agli italiani come va, ma preferirà capirlo puntando sul referendum istituzionale. “Le amministrative eleggono il primo cittadino non il presidente del Consiglio”, dice Matteo Renzi, e “francamente l’idea di essere preoccupato dei risultati attiene a un modello di vita istituzionale” che appartiene al passato, nel quale ogni sei mesi si pensava ad elezioni politiche. Eppure il 2016 è di nuovo una partita di politica pura per il capo del governo. Non ci sarà rimpasto, assicura nella conferenza di fine anno, ma visto che “manca ancora qualche casella al governo, le copriremo”. E l’operazione, raccontano molti giornali, non sarà banale. Il presidente del Consiglio ha bisogno di rinsaldare da una parte la maggioranza che lo sostiene e dall’altra serrare le file all’interno del suo partito che ha visto perdere qualche pezzo verso sinistra. Così il riassetto di esecutivo e segreteria Pd diventa centrale per stare in equilibrio anche in passaggi delicati come la legge sulle unioni civili che il Nuovo Centrodestra combatte senza risparmiarsi e che però, oltre a segnare un avvicinamento verso standard europei, può essere più prosaicamente anche come un tema che può spostare almeno una parte di voti. Tutto deve tenersi, insomma.

E allora la prima delle “caselle” di cui parla Renzi è quella del ministero agli Affari regionali, alle Autonomie e allo Sport, lasciato da Maria Carmela Lanzetta ormai quasi un anno fa. L’ex sindaco di Monasterace, simbolo antimafia, figura ritenuta vicino alle posizioni di Pippo Civati (che nel Pd non c’è nemmeno più), si era dimessa il 30 gennaio per andare a fare l’assessore regionale in Calabria, ma poi aveva rinunciato anche a quell’incarico per la presenza in giunta di un esponente del Pd indagato per voto di scambio e poi (dopo alcuni mesi) arrestato nell’inchiesta sulle spese pazze in Regione. Insomma, la delega agli Affari regionali ora è in mano al solo sottosegretario Gianclaudio Bressa, anche lui democratico, uno dei protagonisti nell’elaborazione dei testi per l’abolizione delle Province.

Ma un ministro serve e nell’equilibrio di maggioranza toccherebbe all’Ncd. I nomi che girano sono tutti di donne: Dorina Bianchi, Laura Bianconi, Federica Chiavaroli. La caratteristica principale della Bianchi aver cambiato 7 partiti in 14 anni, ottima media di uno ogni due anni, il cui fermo immagine è un palco di Crotone dal quale nel 2011 la Bianchi – candidata a sindaco e senatrice Udc – non mosse un dito mentre accanto a lei Berlusconi ne diceva di tutti i colori nei confronti di Casini. Laura Bianconi, romagnola anche lei di scuola Dc, arriva da Forza Italia e dal Pdl, anche lei come la Bianchi in prima fila per difendere la legge sulla fecondazione assistita del centrodestra (poi abbattuta dalla Consulta). Finì all’ospedale con una spalla lussata durante una mezza rissa al Senato che votava le riforme costituzionali tra le proteste da spogliatoio di Cinque Stelle e Lega. Firmò anche un ordine del giorno in cui chiedeva di estendere il vitalizio anche in caso di scioglimento anticipato delle Camere. Sopra (o sotto) la sua firma c’era anche quella di Federica Chiavaroli, che come la Bianconi, è tra quelle che fanno quadrato intorno ad Alfano quando c’è da difendere l’esperienza di governo di “medie intese” con Renzi. Quando a Palazzo Chigi c’era ancora Enrico Letta presentò un emendamento al decreto Salva Roma che limitava i poteri di controllo degli enti locali in materia di slot machines. Fu Renzi, segretario da 10 giorni, a fermare e correggere quell’operazione. Ora la Chiavaroli è tra le più renziante dell’Ncd, ad eccezione ovviamente del ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Ma secondo alcuni giornali la poltrona di ministro rischia di diventare la scintilla per altre tensioni del partito e quindi il presidente del Consiglio avrebbe consigliato ad Angelino Alfano di individuare un “tecnico di area“, come si dice in questi casi. E comunque al Senato ci sono anche le presidenze di commissione da riassegnare e quindi il penalista Nico D’Ascola sembra candidato a sostituire Francesco Nitto Palma alla Giustizia. Ulteriore puntello sarebbe l’ingresso come sottosegretario alla Cultura di Antimo Cesaro, professore all’università di Napoli e deputato di Scelta Civica, partito quasi scomparso ma la cui memoria resiste nel gruppo parlamentare di Montecitorio.

Significato politico ha invece l’inserimento nella rosa dell’integrazione della squadra di governo di Vasco Errani, ex presidente della Regione Emilia Romagna, che ha interrotto prima del tempo il proprio mandato dopo la condanna in corte d’appello per falso nell’inchiesta Terremerse. Sentenza però annullata dalla Corte di Cassazione. Errani sarebbe pronto per il ruolo di viceministro allo Sviluppo Economico, un posto lasciato vuoto da Claudio De Vincenzi, diventato sottosegretario a Palazzo Chigi, dove troverebbe le deleghe che, ai tempi dell’ultimo governo Prodi, furono di Pierluigi Bersani. Errani è una figura vicina all’ex segretario e farebbe un po’ da uomo cerniera tra anime diverse del partito (dando tra l’altro maggiore forza politica in un ministero guidato da un tecnico, Federica Guidi). Ma per lo stesso posto Renzi ha pronto un altro nome, quello di Teresa Bellanova, ora sottosegretario al Lavoro, un tempo relatrice della legge Fornero e più di recente grande combattente nella difesa del Jobs Act. Bellanova, pugliese, ex sindacalista della Cgil (settore braccianti), è sotto scorta da quasi un anno dopo aver ricevuto alcune minacce proprio in relazione alla riforma del lavoro. E’ stata anche protagonista di una vicenda controversa dopo che un suo ex collaboratore l’ha trascinata in tribunale per una presunta questione di lavoro al nero.

Dare segnali alla sinistra del partito in vista delle elezioni amministrative non è affatto banale. I sondaggi dicono che chi abbandona il Pd diventa marginale (Sinistra Italiana, cioè Sel più i fuoriusciti democratici come Fassina e D’Attorre, è data poco sopra il 3 per cento), ma ogni tanto i malumori riemergono, soprattutto nella gestione del partito. Così da una parte viene premiata la lealtà di Sinistra è cambiamento, la corrente di Cesare Damiano e Maurizio Martina, che non è renziana, corregge, pungola, ma sempre nel solco “della responsabilità”. Il ministro dell’Agricoltura, in particolare, in prima fila per sponsorizzare i successi di Expo, uomo forte in Lombardia e tra i primi a lanciare la candidatura di Giuseppe Sala alle primarie per il sindaco di Milano. Della stessa corrente fa parte anche Enzo Amendola, del quale il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni hanno stima: il “giovane” napoletano (ha 42 anni) nato con il mito di D’Alema starebbe per ricevere la delega come viceministro alla Farnesina.

Dall’altra parte c’è da dare un ultima spinta per il coinvolgimento nella conduzione del partito dell’area di Pierluigi Bersani e Roberto Speranza, visto che in segreteria Gianni Cuperlo è già rappresentato (dall’emiliano Andrea De Maria). Il nome che si fa è quello di Nico Stumpo, ex braccio destro di Bersani come responsabile organizzazione del partito, che una volta faceva parte del cosiddetto “tortello magico”, cioè i fedelissimi dell’allora segretario. Ma il suo senso d’appartenenza piace a Renzi. Del 40,8% di un anno e mezzo fa, per esempio, resta una foto che lo staff del presidente fece pubblicare su Twitter: tre del Pd entusiasti per il successo delle Europee. Erano Renzi, Luca Lotti e Stumpo.

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