Nella giornata internazionale della cannabis, lunedì 20 aprile, ben 53 persone sono state fermate a Hyde Park, la centralissima area verde londinese, per avere addosso, illegalmente, dosi di marijuana. Di queste, poi, sedici sono state arrestate per crimini legati al possesso di droga, come per esempio l’aver fornito ad altre persone sostanze stupefacenti. A Londra, come in tante altre città del mondo, ci si è ritrovati per il “4/20 Day Celebration”, le celebrazioni internazionali degli antiproibizionisti. Migliaia di persone si sono radunate fin dall’alba a Hyde Park, sotto lo sguardo attento della polizia, che aveva anche approntato dei pannelli digitali giganti ricordando che sì, nel Regno Unito, il possesso di droga di qualsiasi tipo – a parte le cosiddette “legal highs”, le droghe “legali” in quanto non ancora riconosciute dalla legge – è assolutamente contrario al codice penale britannico.

Poco importa se l’organizzatore londinese Stewart Harper abbia poi ricordato che il rally londinese sia stato “pienamente pacifico”, aggiungendo che “abbiamo bisogno di poter accedere legalmente alla cannabis, anche per fini medici e sanitari”. Altri dieci arrestati hanno ottenuto delle diffide da Scotland Yard, mentre 21 di loro sono stati liberati solo su cauzione e, nelle prossime settimane, avranno l’obbligo di firma nei commissariati. Due anni fa un evento simile aveva visto solamente due arresti. Ma qualcosa si è sicuramente incrinato nel rapporto fra la polizia britannica e chi si batte per la depenalizzazione del reato di possesso di droga di “classe B”, le cosiddette “droghe leggere”. Forse anche per la campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del prossimo 7 maggio, forum e attivisti riportano un clima più severo, un aumento dei controlli e degli arresti e in generale un atteggiamento meno compiacente dai rappresentanti del popolo.

A Londra lunedì si citava apertamente il caso del Colorado, che l’anno scorso è diventato il primo Stato americano a legalizzare la cannabis per uso ricreativo. Un nuovo commercio che sta fruttando milioni di dollari. Però, sempre a Londra, la politica pare non voler assolutamente prendere in considerazione l’esempio in arrivo dagli Stati Uniti. Nel pieno della campagna elettorale, tuttavia, sorprendentemente, una sponda è arrivata dalla Scozia, dove la “first minister” e leader dello Scottish National Party, Nicola Sturgeon, in un’intervista, ha ammesso di aver fumato marijuana. Come riporta il Daily Telegraph, Sturgeon ha detto di essere stata “incredibilmente male”, riuscendo però a dare il via a un dibattito che da Edimburgo è arrivato fin sotto il Big Ben.

Altro partito aperto alle droghe leggere, seppur solo per uso medico, è quello liberaldemocratico, che sta concludendo la sua coalizione di governo con il partito conservatore del premier David Cameron. Il vice primo ministro Nick Clegg, leader dei lib-dem, ha detto che dovrebbe essere reso “più facile” per chi soffre a causa di una malattia accedere a una qualche sostanza, nel caso sia provata che possa apportare un beneficio. Interpellato da un cittadino a un dibattito, il quale sosteneva che “abbiamo bisogno di poter accedere legalmente alla cannabis per uso sanitario”, Clegg ha risposto: “Sostanzialmente sono d’accordo con lei”.

Per quanto riguarda l’approccio degli altri partiti alla questione droga, tutto è scritto nei loro “manifesti” elettorali in vista della consultazione. Per quanto riguarda il Labour, a pagina 52 del documento c’è scritto che “assicureremo che le cure si focalizzino sulle cause della dipendenza, con una appropriata integrazione fra servizi alla salute, forze dell’ordine e autorità locali. Renderemo poi illegali le ‘legal highs’”. Il partito dei Green, quindi i Verdi britannici, nel suo manifesto, a pagina 33, ha scritto che “tratteremo la dipendenza da droga come un problema di salute mentale piuttosto che come un crimine”.

Dai Verdi anche la proposta di “mettere una parte del mercato sotto il controllo dello Stato”, per “l’utilizzo delle droghe in ambienti protetti”. Più duro il partito conservatore, che propone nel suo testo “controlli stretti nelle carceri”, puntando “all’astinenza e a una piena guarigione” piuttosto che “all’uso di sostituti” dati dai servizi per le tossicodipendenze. Infine, l’Ukip di Nigel Farage. A pagina 55 del manifesto si legge che “non depenalizzeremo le droghe illegali, tuttavia faremo in modo che gli spacciatori, e non le loro vittime, debbano confrontarsi con la piena forza della legge”.

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