La Sicilia invoca norme per l’apertura di due casinò a Taormina e Palermo, impianti “da considerare a pieno titolo quali strumenti di promozione e di richiamo turistici”. La Lombardia, al contrario, vorrebbe che fossero approvate “misure per il contrasto del fenomeno della ludopatia e razionalizzazione dei punti di rivendita di gioco pubblico”. La Toscana chiede l’introduzione del principio di separazione bancaria, cioè la divisione tra banche d’affari e commerciali per proteggere risparmiatori e correntisti dalle speculazioni finanziarie dei mercati. Le Marche reclamano il “divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi”, mentre la Sardegna pretende l’istituzione di un “regime di zona franca fiscale e doganale integrale” nel proprio territorio.

FERME AL PALO Screditate dopo l’ondata di scandali degli ultimi anni, le Regioni risultano attivissime nel formulare norme. Queste sono solo alcune delle 43 proposte di legge di iniziativa regionale, previste dall’articolo 121 della nostra Costituzione, depositate dall’inizio della legislatura a Montecitorio (25) e Palazzo Madama (18). Stando anche ai dati pubblicati dall’associazione Openpolis, però, soltanto 4 di queste sono attualmente in discussione nelle aule parlamentari. Delle restanti 39 si sono perse le tracce: assegnate alle varie commissioni, non sono mai state nemmeno calendarizzate. Insomma dopo le leggi di iniziativa popolare, chiuse a chiave nei cassetti del Palazzo e sistematicamente ignorate da Camera e Senato, la storia si ripete. Colpa di un governo pigliatutto e del suo bulimico ricorso al voto di fiducia. Ma non solo.

SENZA APPELLO A leggere i numeri degli anni passati si scopre infatti che non si tratta di una novità assoluta per il Parlamento. Anzi. Nella passata legislatura sono stati presentati 73 disegni di legge regionali ma appena 2, proposti da Sicilia e Friuli-Venezia Giulia allo scopo di ridurre i componenti delle rispettive assemblee regionali, hanno passato l’esame dell’aula tramutandosi in legge. Un misero 2,73%. C’è da dire, inoltre, che dal 2013 ad oggi non tutte le Regioni hanno depositato le loro proposte alle Camere. Lo hanno fatto in 14 su 20, con la Puglia in testa (8). Seguono la Sicilia (6), il Piemonte (5), la Lombardia e la Sardegna (4) e la Calabria (3). Due a testa, invece, sono i disegni di legge arrivati a Montecitorio e Palazzo Madama da Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Marche e Lazio. Chiudono Veneto, Toscana e Campania con uno ciascuno. All’appello mancano l’Abruzzo, la Basilicata, il Molise, l’Umbria, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta.

PURO BUROCRATESE Sfogliando i progetti di legge si scopre pure che molti di questi sono scritti in puro “burocratese”. Il 5 febbraio 2014, per esempio, il consiglio regionale del Piemonte ne ha depositato uno per chiedere l’“inserimento dell’articolo 97-bis nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, ndr), in materia di funzioni dei segretari comunali”. E che dire della Puglia, che reclama l’“integrazione al comma 1 dell’articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di detrazioni d’imposta per spese sostenute dal disabile grave, ai sensi del comma 3 dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in materia di premio assicurativo per l’auto”?

VOTO A PERDERE Senza dimenticare quello della Liguria: “Modifica al comma 186-bis dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2010), inserito dall’articolo 1, comma 1-quinquies, del  decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42”. Un vero rompicapo. Più chiare, invece, le proposte con cui Emilia-Romagna e, ancora, Sicilia invocano – rispettivamente – “modifiche all’articolo 48 della Costituzione in materia di attribuzione del diritto di elettorato attivo nelle elezioni regionali e degli enti locali ai cittadini che hanno compiuto il sedicesimo anno di età” e “disposizioni in tema di impignorabilità della prima casa e dei beni mobili e immobili strumentali all’esercizio di imprese, arti e professioni e di riforma del sistema di riscossione esattoriale”. Poco importa comunque. Visto che, molto probabilmente, nessuna di queste vedrà mai la luce. Con buona pace dei promotori. E alla faccia della Costituzione.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo Precedente

Cambio all’agenzia di stampa ilVelino, Tullio Camiglieri lascia la direzione

next
Articolo Successivo

Nuovo Centrodestra, oltre un terzo dei parlamentari nei guai con la giustizia

next