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Migranti: la tragedia di pochi, l’indifferenza di tutti

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Mentre l’estate si concentra sul proporzionale ispano-tedesco, lo sconto alle multe, l’urgente legge sulle intercettazioni, il ri-governissimo nel 2013. Cinquantaquattro figli dell’umanità morti di sete, inghiottiti dall’acqua, ma prima torturati, tormentati dall’arsura che penetra nel cervello, brucialagola, accartoccia le viscere. Distrutti ad uno ad uno dopo che l’Italia era quasi in vista e poi è stata ripersa, con il gommone alla deriva e le sue pareti destinate pian piano a sgonfiarsi. Fino a lasciare nel catino mediterraneo una massa confusa, che paiono topi ma sono esseri umani che non vogliamo vedere.

Il rischio non è la distrazione dei media. Il rischio è l’assuefazione. Un altro titolo di routine. Un’altra immagine ad effetto. E poi si volta pagina. Domani è un altro giorno. Parlando di fatalità e sorvolando sul cinismo e la sinistra presenza dei mercanti di morte. Ma qui non c’entra il destino e non c’entrano cause atmosferiche. “Dov’eri Adamo?”, si sente interpellare il protagonista di una romanzo dello scrittore Heinrich Böll. “In guerra”, risponde. Qui non vale nemmeno questa debole scusa. “Guardavamo dall’altra parte”, è la verità.

Su cinquantaquattro uno solo è sopravvissuto per raccontare la sua storia. Non è detto che i “grandi capi” e la moltitudine, presa dai propri problemi, vogliano ascoltarlo. Ma quell’uno chiede una risposta. Non servono auspici, buoni propositi, programmi appiccicati ad un imprecisato futuro. Non servono comunicati sempre uguali di istituzioni ed agenzie. Danno la nausea i pensosi proponimenti del dopo-morte.

La grande migrazione di esseri umani, compagna dell’incessante globalizzazione economica che percorre il pianeta, esige la riscoperta del vincolo di fratellanza che unisce uomini e donne ovunque partoriti. Esige che ognuno si fermi a riconoscere in chi gli sta di fronte, in chi – esule, fuggiasco o spinto dalla fame – cerca un approdo, il proprio consanguineo, il vicino a cui è indissolubilmente legato. Perchè la barca dei contemporanei è una sola, il mondo intero. 

Una politica che non sa mettere al centro queste morti e la sorte dell’umanità – il “nostro” sviluppo, il benessere di tutti noi – non è solo inadeguata. Fa schifo.

Il Fatto Quotidiano, 12 Luglio 2012

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