L’ultimo superlatitante del potente clan dei Casalesi, Michele Zagaria

Gli inquirenti e la magistratura lo cercano ancora, l’ultima caccia è scattata a fine maggio nelle strade e nelle campagne di Casapesenna, comune in provincia di Caserta, con perquisizioni e sequestri. Resta l’ultimo superlatitante del potente clan dei Casalesi, l’unico ancora in libertà. Michele Zagaria è sfuggito alla cattura più volte, ma durante la sua latitanza avrebbe incontrato pezzi deviati dello stato per parlare di protezione e di affari. Tema degli incontri il business lucroso dei rifiuti. Patto semplice: la camorra ci mette i terreni e le ditte di trasporto, lo stato toglie il pattume dalla strada e garantisce appalti e immunità. La trattativa, in salsa campana, torna di attualità nel rapporto Ecomafia 2011, redatto da Legambiente, che dedica all’argomento un intero paragrafo citando le inchieste giornalistiche che hanno aperto uno squarcio su questa vicenda e gli approfondimenti in corso della magistratura.

“Le basi per la trattativa – si legge nel dossier – con la camorra sarebbero state poste tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004. Paradossalmente, proprio in coincidenza con la fine della gestione Bassolino e l’inizio di quella dell’ex prefetto Catenacci, vale a dire nella fase in cui il Commissariato di governo viene di fatto militarizzato, per renderlo impermeabile a eventuali infiltrazioni. È lo stesso Catenacci a raccontare alla Commissione parlamentare ecomafie, lo scorso marzo, la composizione della sua struttura: “Scelsi ex prefetti, ex questori, ufficiali dell’esercito e perfino la moglie del capo napoletano dei Ros. Mi circondai inoltre di quattro alti funzionari dei Carabinieri, della Guardia di finanza, del Corpo forestale e della Polizia”.

Per capire il ruolo di Michele Zagaria e della camorra nell’affare rifiuti basta prendere in esame le 37 interdittive antimafia spiccate nei confronti delle ditte impegnate in questo settore e l’inchiesta sulla discarica di Chiaiano, “la più sicura del mondo” secondo Bertolaso, che sarebbe stata realizzata, questa l’ipotesi della Procura di Napoli, da aziende vicine proprio al latitante. Un altro dato inquietante, riportato nel rapporto, è la carriera in discesa del funzionario Claudio De Biasio, impegnato prima al consorzio Ce4, ‘la creatura’ di Nicola Cosentino, luogo di incontro tra imprenditoria e camorra, poi al commissariato di governo prima di finire travolto in tre inchieste giudiziarie. Nonostante tutto De Biasio, sponsorizzato anche da una toga e da uomini di centro-destra, è rimasto in sella nella gestione Bertolaso e anche dopo, nuovamente coinvolto, da ultimo, nell’inchiesta sul percolato smaltito in mare.

Per capire vent’anni di ecomafie bisogna partire da Giugliano, terza città per numero di abitanti in Campania, luogo simbolo di degrado, abusivismo edilizio e devastazione ambientale. In questa terra, sono censite 40 discariche tra abusive e non, il confine tra attività criminali e legali è impercettibile. Tra i buchi riempiti di munnezza, c’è quello della società Resit di Cipriano Chianese, il vero “ideatore delle ecomafie in Campania”, secondo la Procura di Napoli. Lui non è un camorrista, ma un faccendiere, imprenditore e avvocato che ha tentato, sfiorato per pochi voti, nel 1994 il salto alla Camera dei deputati con Forza Italia, appoggiato dal clan (oggi è imputato per concorso esterno in associazione camorristica). E i Casalesi da lui hanno imparato l’arte della spazzatura interrata, il business della gestione del pattume, tossico e no. L’area della Resit è un luogo simbolo. “Qui – si legge nel rapporto – , come racconta Vassallo, è forse avvenuta, alla metà degli anni Ottanta, la genesi dell’ecomafia casalese. È in questi impianti che per la prima volta il ciclo illegale dei rifiuti si è trasformato in sistema affaristico criminale. Seppelliti tra le montagne di scorie, che hanno creato delle vere e proprie fumarole visibili anche dalla strada, ci sono addirittura gli scarti dell’Acna di Cengio, l’industria che durante la Seconda guerra mondiale ha fabbricato le armi chimiche proibite.

Il pentito Vassallo ha offerto ai magistrati una descrizione raccapricciante del percolato trafficato dai Casalesi in quegli anni: “C’erano rifiuti liquidi di una certa ditta che arrivavano in cisterne speciali inox anticorrosive. Quei rifiuti sversati friggevano e scioglievano anche la plastica”. Per questa area il governo, nel 2008, aveva promesso lo stanziamento di 48 milioni di euro per la bonifica. Al momento neanche un metro quadrato è stato interessato dall’attività di ripristino. L’unica cosa certa è il disastro ambientale previsto, da una relazione del geologo Giovanni Balestri consegnata alla Procura di Napoli. “ Il percolato di quei rifiuti, altamente nocivo e cancerogeno, sta attraversando – si legge nel rapporto – il terreno e si sta insinuando attraverso i pori del tufo, posto alla base degli invasi come isolante. Entro il 2064, la falda acquifera sottostante sarà completamente avvelenata. E il problema non riguarderà solo la pianura di Giugliano, dove sorgono gli impianti. “La contaminazione”, infatti, “si estenderà oltre i confini provinciali” e raggiungerà “la rete idrica superficiale dei Regi Lagni”.

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Nei dati ufficiali i veleni nemmeno esistono”

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