Il fronte dei rettori si divide sulla riforma Gelmini. “Meglio una pausa di riflessione di qualche mese che porti a una modifica dei punti critici, piuttosto che dire subito sì a una riforma monca”, afferma Giovanni Latorre, il numero uno dell’università della Calabria. Le sue parole sono in contrasto con quanto dichiarato al Corriere della Sera da Enrico Decleva, presidente della conferenza dei rettori (Crui): “Il ddl va approvato in fretta, per noi è l’ultima spiaggia”.

La netta presa di posizione di Decleva è venuta nei giorni scorsi dopo il rinvio al 14 ottobre della discussione del provvedimento alla Camera. Con il rischio che la riforma slitti di un altro mese a causa della sessione bilancio e finisca su un binario morto, se il governo non riuscirà a terminare la legislatura. Le parole del presidente della Crui sono già state attaccate dai ricercatori, che da diversi mesi protestano contro un ddl da cui si sentono fortemente colpiti. E ora si scopre che dietro la posizione di Decleva non c’è l’unanimità della Crui. Da Cosenza, il rettore Latorre ammette: “Una riforma è necessaria e questa contiene degli aspetti positivi. Ma non può funzionare il nuovo modello di governance, che prevede un Senato accademico svuotato di gran parte dei suoi poteri a vantaggio del consiglio di amministrazione”.

C’è poi il problema dei ricercatori, che “ne uscirebbero proprio male” se la riforma venisse approvata così com’è. “Se i tempi della discussione si dilatano c’è il rischio che il ddl salti, ma se si blinda il provvedimento c’è la certezza di una riforma discutibile – conclude Latorre –. Allora sarebbe un danno minore posticipare il tutto, anche nell’eventualità che si vada a elezioni anticipate”.

Critico su alcuni aspetti di un ddl che “non ha il necessario sostegno finanziario” è pure il rettore dell’università di Trieste, Francesco Peroni. “Senza le dovute risorse – dice – la riforma, una volta approvata, potrebbe naufragare e produrre danni. Questo provocherebbe nella comunità universitaria sfiducia e scetticismo. E una classe dirigente non può permettersi di correre questo rischio”. Peroni esprime solidarietà ai ricercatori che stanno protestando contro diversi punti del ddl, come l’abolizione dei contratti a tempo indetermianto: in 10mila hanno tolto la disponibilità a svolgere quelle attività didattiche che per legge sono volontarie e non obbligatorie. In molti atenei italiani è così venuta a mancare parte della forza docente e l’avvio delle lezioni è stato ritardato a data da destinarsi.

Del futuro della riforma il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha discusso ieri con alcuni esponenti della maggioranza. Dalla riunione è venuta fuori la volontà di discutere il ddl prima del 14 ottobre. Ma alla variazione del calendario sono contrarie le opposizioni: “l’esame del provvedimento deve slittare dopo la sessione di bilancio”, dice Manuela Ghizzoni, capogruppo del Pd nella commissione Cultura, dove oggi è terminata la votazione sugli emendamenti alla riforma.

Al 14 ottobre manca una settimana, che si preannuncia calda. Domani i ricercatori si uniranno ai cortei anti Gelmini degli studenti di superiori e università che sfileranno in oltre 50 città, in concomitanza con lo sciopero proclamato dalla Flc Cgil per i lavoratori di scuole, atenei e centri di ricerca.

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