“È come se la Terra fumasse due pacchetti di sigarette al giorno”. Parola di Ove Hoegh-Guldberg, biologo marino dell’università del Queensland che ha guidato uno degli studi più esaustivi sull’influenza dei cambiamenti climatici sugli oceani: 10 anni di analisi raccolte in un rapporto pubblicato quest’estate su Science.

Il centro della ricerca è che le emissioni di gas serra di origine umana stanno soffocando gli oceani, distruggendo gli ecosistemi marini e spezzando la catena alimentare. Una serie di cambiamenti irreversibili che il pianeta non viveva da milioni di anni. A farne le spese non sono soltanto le barriere coralline o i ghiacci polari che si sciolgono, ma milioni di persone in tutto il mondo che vivono grazie alle risorse marine.

Insomma, il pianeta è asfissiato dal fumo “passivo”. Hoegh-Guldberg spiega che gli oceani sono i polmoni della Terra, producono la metà dell’ossigeno presente in atmosfera e assorbono il trenta per cento dell’anidride carbonica di origine artificiale.

Ma l’ecosistema si sta modificando. Il mare sta rapidamente diventando più caldo e acido, la circolazione oceanica sta cambiando e si stanno espandendo sempre più le cosiddette “zone morte” cioè le aree dove l’ossigeno è quasi nullo. Tutto questo si ripercuote sui principali ecosistemi marini: le barriere coralline tanto pubblicizzate nei depliant delle vacanze last minute stanno sbiancando (e morendo) a causa delle acque troppo acide, le “foreste” di alghe laminarie, grandi produttrici di ossigeno, muoiono come pure gli alberi abbattuti sulla terraferma. Tutto ciò spezza la catena alimentare: pesci sempre meno numerosi, più piccoli e più malati. “Se continuiamo a percorrere questo cammino – spiega lo scienziato – arriveremo a una condizione che noi come umani non abbiamo mai sperimentato. È chiaro che la Terra non ce la fa senza gli oceani. Questa è l’ennesima prova che siamo sulla buona strada per la prossima estinzione di massa”.

Oggi 3,5 milioni di persone basano la loro sopravvivenza sulle risorse alimentari che provengono dal mare, ma nel giro di vent’anni saranno il doppio. Da questi studi viene previsto che Paesi come il Bangladesh, lo Sri Lanka e l’Indonesia, che già si trovano sotto il livello del mare, saranno i più colpiti dall’innalzamento del livello oceanico che, in media, è già di tre millimetri l’anno, ma nell’Oceano Indiano è molto più alto.

Il mese scorso il direttore esecutivo del Programma ambiente delle Nazioni Unite (Unep) Achim Steiner ha valutato economicamente le barriere coralline, foreste e altri ecosistemi naturali: “generano servizi per un valore pari a diversi trilioni di dollari, che sorreggono la vita e l’economia della Terra”. Cifre a dodici, diciotto zeri. E secondo gli autori dello studio stiamo raggiungendo un punto di non ritorno, dopo il quale ogni sforzo sarà vano. Un cerotto anti-fumo potrebbe non bastare per un polmone allo stadio terminale.

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