E’ un cazzotto a freddo per Napoli sapere di essere stata inserita tra le prime undici città più pericolose al mondo. La classifica stilata dalla testata inglese The Sun vede il capoluogo partenopeo contendersi la palma dei posti più criminali del pianeta addirittura con Raqqa (capitale dell’Isis in Siria), Caracas, Groszny, Mogadiscio, Manila, St. Louis, Kiev, Perth, Karachi e San Pedro Sula. Il giornale anglosassone a corredo dell’articolo – per rendere più esplicative, diciamo così, le criticità – ha pubblicato un’efficace infografica attribuendo alla metropoli all’ombra del Vesuvio tre simboli: rosso (murder) per gli omicidi, verde (drugs) per la droga e infine blu (gangs) per indicare le bande criminali giovanili.

Un’istantanea che ha il sapore di una condanna senza appello e che sta sollevando tra i napoletani e non solo un vespaio di accese e risentite polemiche. C’è chi ipotizza e quindi non esclude l’ennesima iniziativa legale presso l’apposito sportello, istituito dall’amministrazione comunale, ‘Difendi la città’, per contrastare le nuove offese diffamatorie contro Napoli. Non lo so.

Rifletto e penso che forse la testata inglese tutti i torti non li ha. Sarebbe sbagliato, come in queste ore sta accadendo, liquidare le accuse del tabloid alzando le solite barricate, accendere i fumogeni dello storico vittimismo, far ricorso a una sorta di Spectre che ordisce complotti contro la nostra terra e infine far leva sulla nostra storia millenaria di Napoli capitale. Ignoro i criteri più o meno scientifici adottati e l’attendibilità del lavoro sviluppato dal giornale The Sun per comporre la top ten da brivido dove Napoli con merito ‘rischia’ addirittura di piazzarsi in zona Champions League.

Posso però registrare da cronista e con il piglio del ragioniere che Napoli da almeno quarant’anni – in una sorta di continuità impressionate – è a tutti gli effetti la ‘città dei sangui’ e qui c’entra poco il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro o San Patrizia. In Europa, dati ufficiali alla mano, non c’è un luogo con una così allarmante continuità temporale di uccisioni, tentati omicidi e vittime collaterali come accade a Napoli. Pensate solo al dato delle vittime innocenti in Campania cioè persone estranee a dinamiche criminali che si sono trovate per una pura fatalità sulla traiettoria di colpi di pistola nell’ambito di conflitti a fuoco tra camorristi.

Chiudete gli occhi, mettete una mano sul cuore e per un attimo allontanate l’amore viscerale, il sentimento soffocante che ci lega a ‘Mamma Napoli’ e pensate alle piazze di spaccio, veri e propri opifici fordisti della droga. Un sistema economico-criminale, lo era Scampia, lo è la Vannella Grassi, lo è il Rione Traiano, lo è il Pallonetto di Santa Lucia, che garantisce lo stipendio e il welfare a tante persone diseredate e addirittura a interi nuclei familiari prendendosi la briga di ‘impiegarli’, dopo averli formati, nelle fasi preparative, collaterali e di lavorazione dello smercio. Quartieri-Stato della camorra, dove campare di droga, alla luce del sole, è la normalità.

Poi che dire del simboletto blu (gangs) dell’infografica della mappa pubblicata da The Sun per indicare le bande criminali giovanili. Le ‘stese‘, la cruenta faida del centro storico di Napoli, i giovani killer paragonati ai terroristi dell’Isis per l’assenza totale di speranza e di futuro ma dominati solo da un asservimento depressivo ideologico alla logica criminale completano un quadro inquietante. Almeno due generazioni sono state abbandonate a loro stesse, in molti casi, figli d’arte e con i soliti cognomi blasonati che non hanno neppure iniziato il ciclo della scuola dell’obbligo.

Allora sarebbe sbagliato considerare la provocazione del tabloid inglese una boutade estiva, giusto per riempire pagine e creare il caso per vedere il giornale. Mamma Napoli è ammalata, le reazioni scomposte che suscita nei suoi figli la ‘classifica della vergogna’ certifica il fatto che si finge di non conoscere il nome della malattia, di non guardare negli occhi il mostro, di esorcizzare, non pensarci. Qui ci siamo abituati alla convivenza, alla connivenza e alla convenienza di aspettare, in una sorta di rito laico scaramantico, l’ultimo sospiro di Mamma Napoli.

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