Sei scudetti di fila non li aveva vinti mai nessuno. Nemmeno cinque, se è per questo, almeno non sul campo (la striscia dell’Inter post Calciopoli iniziò come è ben noto con un titolo assegnato d’ufficio) e non nell’era moderna. Ma adesso il primato è assoluto, non ci sono più dubbi. E poteva stabilirlo solo questa Juventus, che è poi è il combinato disposto di due squadre differenti, unite in un unico, lunghissimo (quasi interminabile, per gli avversari) ciclo: la Juve di Conte e la Juve di Allegri, la seconda costruita sulle solide fondamenta della prima, ora pari anche nel numero di campionati vinti. Da oggi la storia della Serie A appartiene a entrambe. E fra un paio di settimana, forse, anche la storia del calcio italiano, se a questo scudetto e alla Coppa Italia conquistata in settimana dovesse aggiungersi pure la Champions League.

Il campionato 2016/2017 è assegnato sulla carta da agosto e praticamente da gennaio: adesso c’è anche la matematica. A farne le spese è stato il povero Crotone, che magari sperava in cuor suo di poter strappare un punticino salvezza a Torino contro una squadra appagata dai trionfi. E invece dopo la battuta di arresto di Roma ha trovato di fronte una formazione famelica e si è schiantato contro il destino altrui. I bianconeri festeggiano in casa, quando con un po’ più di concentrazione avrebbero potuto farlo proprio sotto gli occhi tramortiti dei rivali una settimana fa all’Olimpico. Ma non cambia nulla: il tricolore, il 33esimo della sua storia, è solo la naturale conseguenza di un monologo lungo tutta una stagione che ha precise ragioni tattiche, individuali, economiche, mentali. Si potrebbe scrivere della solidità della difesa bianconera, la proverbiale “Bbc” diventata ormai famosa in tutto il mondo; o della qualità dei vari Dybala, Higuain, Pjanic, Cuadrado, Mandzukic, e chi più ne ha più ne metta. C’è la leadership di Massimiliano Allegri, mai così padrone del suo gruppo, che ha finalmente lasciato la sua firma indelebile su una squadra che tanti continuavano ad associare al marchio di Conte con il nuovo modulo che ha svoltato la stagione bianconera. E ancora: come dimenticare il peso di una gestione societaria impeccabile, l’unica in Serie A a superare la quota dei 300 milioni di fatturato (e presto anche quella dei 400 milioni), che garantisce sul mercato acquisti da 90 milioni e stipendi da top player che nessun altro in Italia può permettersi. Per non parlare di quella superiorità mentale che solo le vittorie sanno darti, e che si traduce in sudditanza psicologica, delle avversarie, perché no a volte anche degli arbitri. Un dominio assoluto. Ma tutto è stato già detto e scritto, negli ultimi sei anni e negli ultimi sei mesi.

La vera grandezza della Juventus sta nell’ordinarietà dello straordinario. Vincere sempre contro avversari sempre diversi: Milan, Roma o Napoli non fa differenza. Rinnovarsi tanto (del primo scudetto sono rimasti appena sei giocatori: Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Lichtsteiner e Marchisio) per rimanere se stessi. Tenere acceso il fuoco che la routine consuma in ogni passione. Ma non per la fame bianconera di vittorie, che si ripetono ineluttabili, sempre simili a se stesse ma a ben vedere mai uguali. Il primo scudetto fu quello della rinascita con Conte, il secondo della conferma, il terzo dei record dei 102 punti. Il quarto è stato in realtà il primo di Allegri, il quinto l’apertura di un nuovo ciclo più giovane e fresco che infatti si completa ora. E così siamo arrivati al sesto, che in fondo non è altro che un piccolo tassello di un quadro più grande e più ambizioso, che dopo la Coppa Italia e lo scudetto prevede la finale di Champions League col Real Madrid. Il trionfo totale. Così di vincere loro non si stancano mai: l’unica abitudine è la sconfitta altrui.

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