Déjà vu. A sei mesi dal redde rationem con Bruxelles per ottenere ampi spazi di flessibilità sui conti pubblici per il 2016, il governo Renzi è al punto di partenza. E, lungi dal rispettare gli impegni presi per avere il via libera a circa 13,6 miliardi di deficit aggiuntivo, intende invece chiedere alla Ue di poter sforare ancora una volta. Rispetto alla scorsa primavera, però, averla di nuovo vinta dalla Commissione appare più complicato. Perché oggi sul tavolo c’è anche il dossier Monte dei Paschi di Siena, di cui nel frattempo il Tesoro con il suo 4,02% è diventato primo socio. In caso di fallimento del complesso piano di salvataggio privato annunciato a fine luglio, per ricapitalizzare la banca sarà necessario un intervento dello Stato con soldi pubblici. Non prima di aver imposto perdite ad azionisti e obbligazionisti subordinati, a meno di non riaprire anche su questo le trattative con i partner europei.

Governo al bivio tra riduzione del deficit e misure espansive – Un passo indietro. I dati sul pil del secondo trimestre diffusi venerdì scorso dall’Istat, secondo cui l’economia italiana è al palo, non solo rendono irraggiungibile l’obiettivo di crescita dell’1,2% contenuto nel Def, ma rendono anche molto più costoso ridurre il rapporto deficit/pil all’1,8% e il debito/pil dal 132,7 al 132,4%. Obiettivi, questi, il cui raggiungimento è stato chiesto dalla Commissione a maggio come contropartita per garantire la flessibilità chiesta per il 2016. Con il denominatore (il pil) è più basso del previsto, il rapporto tende ad aumentare e per contenerlo servono più risorse. Per quanto riguarda il debito, che in valori assoluti continua ad aggiornare i record storici, il governo conta di abbatterlo almeno un po’ con i proventi delle privatizzazioni. Per contenere il deficit, considerato che 15 miliardi sono già impegnati per disinnescare le clausole di salvaguardia (aumenti automatici di Iva e accise) bisognerebbe invece inevitabilmente togliere risorse alle “misure espansive” – taglio dell‘Ires, incentivi fiscali per investimenti e ricerca – che l’esecutivo vuol mettere in pista nella prossima legge di Bilancio, nonostante quelle varate finora non abbiano ottenuto i risultati sperati.

La scelta di Renzi: non ridurre il deficit/pil e andare di nuovo allo scontro – Il premier e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan tacciono, ma nel weekend ferragostano Repubblica ha attribuito a Renzi il seguente “mantra”: “Non saranno dei vincoli europei a mnadare l’Italia per la terza volta in recessione”. E vari esponenti dell’esecutivo hanno spiegato chiaramente qual è l’orientamento di Palazzo Chigi: una manovra recessiva è fuori discussione, tanto più che andrà presentata poche settimane prima del referendum costituzionale cruciale per Renzi. “Abbiamo già ottenuto molta flessibilità, intendiamo chiederne ancora, tutta quella possibile”, ha anticipato il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda a La Stampa, definendo “sbagliata” la decisione dell’Ecofin di concedere solo una volta (e l’Italia le ha appunto ottenute per quest’anno) le attenuanti che aprono la strada a sconti sul risanamento. Concetto ribadito domenica a Repubblica dal sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi (“Ci troviamo di fronte a una situazione nuova, più negativa, determinata da fattori che non si possono ignorare” per cui “la flessibilità (…) la vogliamo, nel rispetto delle regole vigenti”). L’unico a frenare è stato il titolare delle Infrastrutture, Graziano Delrio, secondo cui “ottenuta la flessibilità in Europa, ora l’obiettivo è spingere forte sugli investimenti pubblici“, dopo che il Cipe la settimana scorsa ha sbloccato 39 miliardi di cui 13,4, a valere sul Fondo di sviluppo coesione, per il Mezzogiorno.

Meno margini sulle pensioni e sfuma l’anticipo del taglio Irpef – Morale: Renzi vuol chiedere alla Ue di poter mantenere il rapporto deficit/pil intorno al 2,3% anziché ridurlo all’1,8%. La differenza vale circa 8 miliardi, che verrebbero utilizzati per finanziare le voci di uscita della prossima manovra. Repubblica lunedì ipotizza che la cifra possa arrivare fino a 10 miliardi, con il deficit/pil al 2,4 per cento. In ogni caso è destinato a sfumare l’anticipo al 2017 del taglio dell’Irpef (in calendario per il 2018), perché anticiparlo non è più proponibile, e si riducono i margini per gli interventi sulle pensioni (anticipo dell’uscita dal lavoro, ampliamento della no tax area e della platea che riceve la quattordicesima, scivolo per i lavoratori precoci e per chi ha svolto mestieri usuranti). “Quando la crescita rallenta, bisogna parlare meno di misure redistributive sulle pensioni e più di misure fiscali a favore di investimenti e lavoro”, ha messo le mani avanti il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti. A settembre non resta che attendersi un nuovo scontro con i vertici Ue. Antipasto il 22 agosto, quando a Ventotene è in programma un trilaterale tra Renzi, la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande.

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