Angela ha 21 anni e una bambina di due, che sta crescendo con il solo aiuto di sua madre. Sta cercando lavoro e nell’attesa, tre giorni alla settimana, dà una mano agli operatori di una ludoteca, occupandosi del baby parking. In cambio riceve dal Comune 400 euro, per pagare l’affitto e le bollette. Quello di Angela è uno dei patti sociali stipulati a Modena, dove l’amministrazione ha deciso di sperimentare una nuova forma di welfare per le persone disoccupate, in cui al contributo economico, da destinare al mantenimento della casa, corrispondono attività di volontariato e lavori socialmente utili in associazioni ed enti no profit, come la distribuzione di vestiti nelle parrocchie, la manutenzione dei parchi o la partecipazione a percorsi formativi.

Un modo per responsabilizzare i cittadini, per favorire la loro partecipazione attiva e il reinserimento in contesti lavorativi. Ma anche per aiutare chi sta vivendo sulla propria pelle la crisi a rimettersi in gioco e a sentirsi utile alla comunità. La prima fase, partita a settembre, ha coinvolto circa 28 persone, che hanno ricevuto un contributo di 300 euro per tre mesi, rinnovabili per altri tre. E ora il Comune ha deciso di replicare con un secondo bando, portando la cifra a 400 euro e allungando la durata a sei mesi, eventualmente prorogabili per altri tre. I beneficiari previsti sono 52, e in tutto il costo dell’intervento, coperto dalla Fondazione Cassa di risparmio di Modena, ammonta a 150mila euro. Anche se il Comune è orientato ad aggiungere risorse proprie, così da poter aggiungere altre 30 famiglie circa alla lista.

Il progetto si rivolge a cittadini italiani e stranieri, residenti a Modena. Devono rientrare in una fascia di età compresa tra i 18 e i 65 anni, essere disoccupati, in mobilità o in cassa integrazione, e non devono essere stati licenziati per giusta causa. La soglia massima per l’Isee è 10mila euro. Esclusi coloro che già vivono nelle case popolari. Per ricevere i soldi bisogna sottoscrivere un Patto sociale di cittadinanza, che “contiene in modo dettagliato le azioni che il beneficiario si impegna a realizzare nel periodo di erogazione del beneficio”. Il tutto viene discusso e concordato prima con l’assistente sociale, sulla base delle competenze personali, delle abilità individuali, e delle caratteristiche della situazione famigliare.

Nell’idea del Comune, i contributi sono “finalizzati prevalentemente al mantenimento dell’abitazione”, come si legge nel bando. “Siamo partiti da una considerazione semplice – spiega l’assessore al Welfare e alla Coesione sociale Giuliana Urbelli – Nel 2015 il Comune ha messo in campo 2,3 milioni di euro per i nuclei che si trovano in situazioni di disagio socio-economico. Madri sole, ad esempio, famiglie omogenitoriali o molto numerose. Il 50% di questi contributi è stato destinato al mantenimento dell’abitazione, quindi al pagamento dell’affitto e delle utenze. E questo è il dato fondamentale, perché ci racconta come la casa, di fronte al calo dei redditi, sia diventata la criticità primaria delle famiglie”.

E se Angela, vista la sua passione per i bambini, ha optato per un centro ricreativo, c’è anche chi ha scelto di dare una mano alla mensa dei poveri, chi ha contribuito alla pulizia del verde o alle attività di un centro per anziani, e chi si è impegnato a seguire a corsi di orientamento. “Per ora si tratta una sperimentazione, ma in futuro vorremmo superare il classico assistenzialismo ed estendere questa logica di erogazione dei contributi anche agli altri fondi – racconta Urbelli – Perché è una misura che responsabilizza, fa bene alla comunità e allo stesso tempo alla persona disoccupata, che riceve un aiuto economico con maggiore dignità” .

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