Il volume di fuoco della campagna anti-Ttip è proporzionale alla sua scarsità di argomenti solidi. D’altra parte, fin dal nome, le associazioni raccolte in questa galassia non hanno alcuna pretesa di oggettività e non vogliono certo di fare analisi equilibrate sull’argomento. Per quello siamo pagati noi giornalisti.

A questo proposito vorrei chiarire, per l’ennesima volta: io non sono favorevole e neppure contrario al Ttip perché credo che qualunque opinione netta sull’argomento sia o poco informata o in malafede. Dire “sono contro il Ttip” è come dire “sono contro la sharing economy”. Non è giusto o sbagliato, è semplicemente stupido: c’è un processo in corso, un negoziato lungo, complesso e molto tecnico, può avere risultati positivi per noi (la tutela delle indicazioni geografiche negli Usa), può avere esiti negativi per noi come Italia ma positivi per l’Ue nel complesso, può avere risultati molto negativi per l’Italia e tutta l’Ue (ma questo richiede politici a tutti i livelli molto stupidi o molto corrotti, tendo a escludere comunque che l’Europarlamento voti un testo disastroso per l’Europa). L’opinione pubblica ha il diritto e il dovere di vigilare (e l’aumento di trasparenza concesso dal lato europeo è frutto di queste pressioni).

Anche la sharing economy, dietro tanta retorica sulla condivisione, nasconde la fine dei contratti di lavoro, crollo nelle retribuzioni, grossi problemi con gli ammortizzatori sociali, svuota di senso molte statistiche sul Pil ecc. Ma è un fenomeno da studiare e un processo da condizionare, l’alternativa è fare come i tassisti con Uber, mettere fuori legge l’innovazione per qualche anno salvo poi trovarsi travolti (o pensano di mettere fuori legge anche le Google Car e tutto quanto renderà sempre più superfluo il loro lavoro?).

Tornando al Ttip, allarmi esagerati, iperboli e scorrettezze saranno utili nel breve periodo a ottenere attenzione ma nel medio periodo rischiano di screditare le associazioni della campagna anche quando dicono cose intelligenti. Avvelenano il dibattito, invece di stimolarlo.

Ho ricevuto molte reazioni ai miei ultimi post, tralascio tutte quelle ideologiche e pretestuose (che erano esattamente l’obiettivo della mia polemica). Mi concentro sull’unica argomentata, il post del blog Stop Ttip dedicato agli Isds, cioè gli strumenti di soluzione delle controversie tra Stati e aziende sugli investimenti. La scarsa onestà intellettuale si intuisce dal titolo “Contro gli investitori i governi non vincono mai”, concetto poi esplicitato: I governi non vincono mai davanti ad un arbitrato commerciale: al massimo non perdono, dato che solo l’investitore può sporgere denuncia. Lo Stato vestirà sempre e comunque i panni dell’imputato, pagando, in ogni caso, ingenti spese legali”. Questo è il tipico argomento della campagna anti-Ttip, non del tutto falso ma che trasuda malafede.

Gli Isds servono a proteggere gli investimenti delle compagnie straniere in un Paese che poi può cambiare le regole e distruggere il valore di quell’investimento. Uno dei casi che ai no-Ttip piace citare è quello della Germania che dopo il disastro di Fukushima del 2011 all’improvviso cambia idea sul nucleare: il gruppo Vattenfall ora chiede 4,7 miliardi di euro di risarcimenti per il danno subito, l’arbitrato è in corso. Grande polemica ha suscitato anche il ricorso alla procedura Isds per tagli retroattivi decisi nel 2011 agli incentivi alle energie rinnovabili, nell’ambito del quale l’Italia si era sfilata dal Trattato sulla Carta Energia. Questi sono esattamente i casi per cui strumenti come gli Isds sono stati pensati: un’azienda programma investimenti pluridecennali sulla base delle regole fissate da uno Stato sovrano e dei suoi impegni presi a livello internazionale e poi quello Stato cambia idea, riscrive le regole e distrugge il business plan dell’impresa.

E’ chiaro che se vogliamo ricevere investimenti stranieri (so che alcuni dei commentatori qui sono per l’autarchia e la decrescita felice, ma la gente normale vuole ancora avere un lavoro) dobbiamo dare qualche garanzia a chi spende miliardi nei nostri Paesi. Il governo tedesco di Angela Merkel, filo-nucleare fino a un attimo prima, ha tutto il diritto di rinunciare all’atomo. Ma deve sapere che quella scelta ha un costo, cioè il rischio di dover risarcire chi ha costruito le centrali, perdita di posti di lavoro e così via. Come dicono gli economisti, nessun pasto è gratis.

Quindi è propaganda scorretta dire che “gli Stati non vincono mai”, visto che la procedura Isds e altri arbitrati analoghi servono a tutelare gli investimenti e, dunque, gli investitori. E’ come dire che in una class action all’americana le multinazionali sono vittime perché non possono mai spennare i consumatori ma al massimo riescono a evitare risarcimenti miliardari.

Uno studio del ministero del Commercio olandese, basato su dati Ocse 2012, ha censito 274 denunce da Isds: il 43 per cento è stato deciso in favore dello Stato, il 31 per cento a favore dell’investitore, il 26 per cento si è chiuso con un accordo. Dati più aggiornati del 2014, citati anche dai no-Ttip, dicono che su 365 casi di Isds, il 37 per cento sono stati decisi a favore dello Stato, il 25 per cento a favore dell’investitore.

Quindi, in sintesi, nei contenziosi tra Stato e multinazionali vince più spesso lo Stato. A volte le multinazionali vincono, certo, l’agenzia Onu Unctad parla di un successo da 50 miliardi di dollari a favore degli investitori in tre casi collegati tra loro. Sono tanti soldi. Ma quale sarebbe il danno – in termini di mancati investimenti stranieri – se si rinunciasse a ogni forma di tutela delle multinazionali disposte a investire? Calcolo complesso.

Per come impostano la questione gli anti-Ttip, ogni strumento di difesa degli investimenti è sbagliato perché viola la sovranità democratica. Mi sembra un ragionamento molto miope: noi siamo cittadini di un Paese dove (poche) multinazionali investono, ma siamo anche azionisti, finanziatori o dipendenti di aziende che vanno all’estero a cercare opportunità. E non ci piace quando gli investimenti italiani vengono espropriati, danneggiati o boicottati. Se si vuole discutere invece di come deve essere fatta la corte arbitrali, di quali garanzie ci devono essere per evitare conflitti di interesse o “cattura” degli arbitri da parte delle multinazionali ecc. è molto interessante e ne ho parlato nell’ultimo post.

Ma l’ostilità verso ogni strumento di giurisdizione internazionale è assurda. Aboliamo anche la Corte di giustizia europea? E la Corte europea dei diritti dell’uomo? Anche quelle interferiscono con la sovranità nazionale.

A esagerare con la demagogia, si arriva all’assurdo logico contenuto sempre nell’ultimo post degli anti-Ttip, che sono pronti alla rivoluzione per evitare che la carne agli ormoni americana arrivi in Europa ma poi denunciano indignati: “Se si approfondisse meglio come funzionano ambiti di questo tipo, magari si capirebbe come l’Unione Europea dovette pagare centinaia di milioni di dollari in ritorsioni commerciali dagli Stati Uniti per aver impedito l’entrata di carni agli ormoni dalla fine degli anni Novanta”.

Ragazzi, decidetevi. Se volete bloccare la carne agli ormoni che gli Usa vorrebbero tanto esportare da noi (costa meno), allora dovreste essere orgogliosi e rassicurati dal fatto che la Commissione europea si è dimostrata pronta a una guerra commerciale con gli Usa pur di difendere il principio di precauzione (non siamo sicuri che un certo prodotto faccia male, ma non abbiamo neppure la prova del contrario e nel dubbio la vietiamo). Negli ultimi 15 anni gli Usa hanno lanciato un’offensiva tariffaria per vendetta contro l’Europa, nella speranza che cedesse sugli ormoni. Non è successo.

E, come spiega il Parlamento europeo: “Nel maggio 2009 è stato firmato un accordo negoziato dalla Commissione europea e dal governo degli Stati Uniti che prevedeva un meccanismo in due fasi per ridurre progressivamente il livello delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti sui prodotti dell’Ue, mentre l’Unione ha progressivamente aumentato le quantità importabili nell’UE per le carni bovine di “alta qualità” prive di ormoni. Gli Stati Uniti hanno già deciso di revocare le sanzioni imposte ai prodotti europei nel maggio 2011. I principali beneficiari della revoca delle sanzioni da parte degli Stati Uniti e del Canada sono l’Italia, con un valore commerciale di oltre 99 milioni di dollari, la Polonia con 25 milioni di dollari, la Grecia e l’Irlanda entrambe con 24 milioni di dollari, la Germania e la Danimarca entrambe con 19 milioni di dollari, la Francia con 13 milioni di dollari e la Spagna con 9 milioni di dollari”.

In base a una serie di deduzioni un po’ labili, gli anti-Ttip sostengono che la Commissione voglia (non si capisce perché) far entrare la carne agli ormoni con il Ttip. Tutti ma proprio tutti i negoziatori e i loro referenti politici lo hanno escluso, il mandato negoziale dell’Europarlamento (che dovrà dare il voto finale) è categorico sul punto. Ma gli anti-Ttip sono convinti del contrario.

Da giornalista mi devo occupare dei fatti, i dogmi di fede li lascio a sacerdoti e fedeli.

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