Alla fine il pressing del ministro della Giustizia Andrea Orlando è andato a segno. Ad ore la riforma del processo penale che ha tra i punti più qualificanti la delega al governo sulle intercettazioni verrà calendarizzato al Senato. Il testo era scomparso dai radar da mesi, complice le polemiche che ne avevano accompagnato l’approvazione alla Camera. Non era bastato l’input del presidente del consiglio Matteo Renzi che aveva annunciato la riforma delle intercettazioni entro l’anno, il 2015. A Montecitorio, nei giorni caldi di un luglio incandescente da molti punti di vista, il governo aveva invece rischiato di schiantarsi su un emendamento di Area Popolare che prevedeva le manette per chi captasse conversazioni attraverso telecamere o registratori nascosti e che aveva fatto gridare alla legge bavaglio. Poi gli imbarazzi del Pd e la marcia indietro: niente carcere, almeno per i giornalisti. Ma la frittata era ormai stata fatta. Da quel momento la strada è stata tutta in salita per un testo che prevede molte altre cose. E che promette modifiche che consentiranno il rafforzamento delle garanzie difensive, la durata ragionevole dei processi nonché l’effettività rieducativa della pena.

“Farò il relatore in autonomia come ho sempre fatto. E dirò cosa penso di tutti gli aspetti, anche attraverso gli emendamenti”, dice il relatore designato del provvedimento Felice Casson che saluta positivamente l’avvio dell’esame del testo che fino a pochi giorni fa era rimasto escluso dal calendario delle priorità elaborato dalla commissione Giustizia rinnovata di recente e affidata oggi a Nico D’Ascola di Ncd (ha preso il posto del forzista Nitto Palma). “Era ora che venisse fuori dai cassetti della commissione”, dice Casson al ilfattoquotidiano.it. Che però già anticipa alcune critiche al testo, “un mezzo disastro, non è fatto molto bene”. E che assicura: del merito non si è ancora discusso al Senato, né di tempi. Prematuro parlare di accordo in seno alla maggioranza. Nessun asse neppure con il ministro Orlando: “Non l’ho neppure sentito”.

Si sono invece già fatti sentire alcune delle procure italiane più importanti. Varando circolari di autodisciplina, come quella del procuratore di Torino Armando Spataro che dimostrano – dice Casson – “che è inutile un intervento legislativo, bastano le norme che già ci sono”. Insomma le procure, sebbene a macchia di leopardo hanno giocato d’anticipo, ottenendo anche il plauso del Garante della Privacy. E facendo fare una pessima figura alla politica che ora cerca di recuperare. Basterà la volontà di autoregolamentazione? Quel che è certo è che finora non è stato possibile insediare al ministero il tavolo di consultazione che avrebbe dovuto coinvolgere stampa e magistratura per il decreto attuativo della delega. Il ministro della Giustizia avrebbe voluto metterlo al lavoro già dopo l’ok della Camera al testo. Ma nulla, anzi. Giornalisti e magistrati in effetti da allora si sono incontrati per parlare di intercettazioni, ma ben lontano dal ministero di Via Arenula. E la riflessione comune ha portato ad un ‘no’ deciso allo strumento della delega al governo, considerata sia dai giornalisti che dai magistrati uno strumento inadatto alla delicatezza costituzionale della materia. La diffidenza resta massima.

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