“La magistratura valuti il peso delle decisioni che prende”. Lo dice Federica Guidi, ammonendo i giudici a non spegnere l’Altoforno 2 dell’Ilva, che “condannerebbe lo stabilimento alla chiusura”. Un intervento che viene proprio da quel ministro che, pur non essendo indagato, è comparso negli atti dell’inchiesta di Savona sulla centrale a carbone di Vado Ligure che, con i suoi fumi, secondo l’accusa avrebbe provocato la morte di 440 persone. Niente di penalmente rilevante, ma più d’uno ha storto il naso leggendo degli incontri al ministero tra la Guidi e l’ex ministro Paola Severino, oggi avvocato degli imputati di Tirreno Power.

Di più. Le annotazioni dei Noe che hanno condotto l’inchiesta contengono passaggi importanti su Claudio De Vincenti, l’allora vice-ministro di Guidi e poi promosso da Matteo Renzi sottosegretario alla presidenza del Consiglio: “Le registrazioni dimostrano come la pubblica amministrazione con particolare riferimento all’allora viceministro dello Sviluppo Economico, De Vincenti, si adoperi per suggerire la strada a Tirreno Power per aggirare la prescrizione che impone la copertura del carbone”. Non solo, uno dei responsabili della centrale intercettato sostiene che De Vincenti avrebbe ipotizzato l’intervento del Csm contro i pm: “De Vincenti ieri mi dice… ma non si può fare un esposto al Csm? Non si può fare aprire un’indagine al ministero della Giustizia…”, dice Massimiliano Salvi. Insomma, i pm andavano puniti.

Nessuna spiegazione su questi episodi è arrivata da Guidi o De Vincenti. Eppure, dopo una manciata di giorni, il ministro dello Sviluppo Economico torna ad ammonire i magistrati in difesa delle imprese, mettendo in cornice la peculiare inclinazione delle istituzioni nostrane a condizionarne le loro decisioni pur di parare l’offensiva ambientalista. Un’attitudine che, giorno dopo giorno, si rivela un metodo della politica. Francantonio Granero, pm savonese che ha tolto il coperchio sulla centrale di Vado, aveva raccontato così quella sinistra interferenza: la vera controparte nell’inchiesta “sono diventati la Regione Liguria, i Comuni, la Provincia. Io non mi meraviglio che l’amministratore delegato di Tirreno Power ce la metta tutta per dimostrare la sua innocenza. Se, invece, questo lo fanno le istituzioni, mi crea un certo imbarazzo”. Gli amministratori – secondo i pm – avrebbero anche fatto pressioni per vanificare le perizie dell’accusa che per la prima volta parlavano dei morti causati dalla centrale. Ancora la politica contro le inchieste.

Pochi conoscono un caso passato sotto silenzio, quello del sostituto procuratore della Corte d’Appello di Brescia, Manuela Fasolato, che si è ritrovata “a processo” davanti al Csm perché, tra le altre cose, “lavorava troppo”. Abbastanza da ottenere una pesante condanna per disastro ambientale dei vertici Enel per le emissioni della Centrale a olio di Porto Tolle. Ci sono voluti cinque anni per sollevarla da ogni addebito, due più del processo alla centrale dei veleni che procedeva parallelo con 15 faldoni di carte istruttorie, 30 testi sentiti, decine di consulenti.

Il disciplinare è scattato nel 2010 ed è figlio delle tensioni innescate dall’indagine che ha investito anche il progetto di riconversione a carbone della centrale più inquinante d’Europa, un piano da 2,5 miliardi benedetto dalle forze politiche e sindacali che sollevava però molte riserve sul piano ambientale. L’attività del pm finisce presto sotto il tiro incrociato della politica e delle lobby industriali. Nella vicenda spiccano i nomi di Luciano Violante, Angelino Alfano e Nicolò Zanon. Il disciplinare Fasolato arriva puntuale e dura cinque anni. Tanto che mentre il 31 marzo 2014 Franco Tatò e Paolo Scaroni venivano condannati per disastro ambientale, la pm che aveva condotto le indagini era ancora lì a difendersi da contestazioni in parte cadute, in parte riformulate, lasciando in piedi il procedimento.

Solo il 21 novembre scorso il Csm ha sollevato il pm da tutte le contestazioni, con una decisione che finalmente dà ragione al suo operato: era così che doveva procedere per tutelare ambiente e salute. Era già archiviata l’accusa di aver continuato a seguire l’inchiesta di Rovigo tra il 2007 e il 2009, benché nominata nella commissione d’esame di magistratura a Roma. Anziché un premio, aveva ricevuto una contestazione.  Decade anche quella di aver segnalato al Ministero dell’Ambiente, ancorché in fase di indagine, gli esiti delle perizie tecniche sugli effetti dell’inquinamento. Non avrebbe dovuto, la tesi degli accusatori, sottoporle alle autorità che dovevano valutare il progetto di riconversione a carbone per evitare un “condizionante contraddittorio col Ministero”.

Peccato che, come accerterà il Csm, lo avesse fatto per diligenza e nello spirito di una leale collaborazione tra le istituzioni, visto che lo stesso Ministero si sarebbe costituito parte civile nel processo Enel, con una richiesta di risarcimento da 3,6 miliardi. Il pm si preoccupava anche di avere le carte del progetto, allora al vaglio della Commissione di Via, per verificare che non aggravasse ulteriormente lo stato dell’area di Porto Tolle e l’ipotesi di reato di omissione dolosa di tecnologie per contenere le emissioni, poi accertata dal Tribunale di Rovigo. Ma tanto è bastato per rimpolpare il disciplinare. Dettaglio: il Csm su quella corrispondenza ammette a deporre come teste anche Mariano Grillo, il dirigente del settore Via ora indagato nell’indagine Tirreno Power.

Tocca ora capire la genesi di tutto questo. Alcuni indizi portano dritti a Luciano Violante, presidente dell’associazione Italia Decide, di cui Enel è socio fondatore. Il 5 gennaio 2010 il presidente Violante intervenne sulla questione Porto Tolle: “Il ministero della Giustizia dovrebbe fare delle ispezioni e capire se un’autorità giudiziaria può compiere un atto di questo genere, intimidendo sostanzialmente quelli che dovrebbero prendere la decisione”. Alfano obbedisce e una settimana dopo manda gli ispettori. Violante aveva anche “scritto” il capo di imputazione, da mesi: nel libro “Magistrati”, dopo aver denunciato l’eccesso di controllo di legalità dei pm sulle attività delle amministrazioni, citava come unico esempio proprio le lettere con cui i pm di Rovigo chiedevano gli atti dell’iter di riconversione in corso a Porto Tolle.

Al suo fianco Nicolò Zanon, attuale giudice della Corte Costituzionale ed allora membro laico del Csm in quota Pdl in predicato di diventare componente della sezione disciplinare che doveva decidere la pratica Fasolato, incarico poi ricusato per un palese conflitto d’interessi. Anche Zanon, infatti, è socio promotore di Italia Decide, nonchè presidente del Comitato di Presidenza. Come la pensasse sull’indagine di Rovigo lo aveva chiarito in una ricerca, da lui coordinata nel 2009, intitolata “Infrastrutture e territorio”. In uno dei passaggi (p. 295) si legge: “In alcuni casi l’intervento dell’autorità giudiziaria si è configurato come una sorta di anomala interferenza rispetto ai compiti dell’autorità amministrativa (vedi caso Porto Tolle)”. Proprio la contestazione che sarà mossa in sede disciplinare al pm. Alla fine i ‘politici bastonatori’ perdono. Gli effetti però ci sono stati: la Fasolato, trent’anni di lavoro e grandi inchieste ambientali alle spalle, è rimasta per cinque anni sotto disciplinare, situazione ‘infamante’ per un magistrato, che pesa sull’assegnazione di futuri incarichi direttivi, perfino quando si risolve a suo favore.

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