Nessuno resiste alla Falconeide. Non c’è vip della classe dirigente di questo Paese (presidente, ministro o magistrato) che non abbia un ricordo, sia pur minimo, di Giovanni Falcone da rispolverare nell’aula bunker di Palermo dove ogni anno si raduna il salotto chic dell’antimafia istituzionale.
E anche quest’anno il copione è stato rispettato: commemorando il sacrificio del giudice assassinato sull’autostrada di Capaci, tutti i più alti rappresentanti dello Stato, Sergio Mattarella in testa, hanno pronunciato una ferma condanna della violenza stragista che ha massacrato i magistrati Falcone e Borsellino, colpevoli soltanto di aver fatto il proprio lavoro, mettendo in crisi il sistema criminale e le sue collusioni con il potere. Il presidente della Repubblica, ricordando le parole dell’uomo ucciso ventitré anni fa con cinquecento chili di tritolo, ha detto: ‘’Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”

Nessuno, però, ha osservato come tra questi altri uomini che oggi nel Palazzo di giustizia di Palermo portano avanti con rigore le idee di Falcone e Borsellino (una in particolare: quella che la legge è uguale per tutti) ci sono i magistrati che indagano sull’ignobile patto di non belligeranza siglato, proprio all’indomani delle stragi, tra Stato e mafia, in un procedimento che fa fibrillare il cuore delle istituzioni.

Né il capo dello Stato, né il presidente del Senato Piero Grasso, né il ministro della Giustizia Andrea Orlando, né il presidente della commissione antimafia Rosy Bindi, né il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, né il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli, nel bunker dell’Ucciardone trasformato per l’occasione in un teatrino della legalità, hanno trovato tempo e modo di spendere una parola di solidarietà nei confronti del pm Nino Di Matteo, da due anni bersaglio degli ordini di morte di Totò Riina e di un bombardamento di minacce così feroce da aver costretto il Viminale ad assegnargli una scorta con tre auto blindate, dodici specialisti del Gis e un bomb-jammer.

Nessuno ha ricordato che quell’inchiesta sul dialogo tra boss e istituzioni va avanti da tre anni in un continuo clima di allarme, costellato da episodi inquietanti: dalle incursioni di ‘’ignoti’’ in casa del pm Roberto Tartaglia, all’arrivo a Palermo di duecento chili di tritolo, che secondo il pentito Vito Galatolo sarebbero tuttora nascosti in una delle borgate palermitane per far saltare Di Matteo.

Nessuno ha pensato di dissociarsi pubblicamente dal tentativo di isolamento fino alla derisione che da mesi va montando all’indirizzo dei pm del pool Stato-mafia, spingendo un autorevole ex senatore del Pci come Emanuele Macaluso addirittura al turpiloquio: ‘’Cazzo, ci voleva l’acume e l’esperienza di Di Matteo per scoprire la vocazione di Cosa nostra a cercare il dialogo con le istituzioni’’.

Così la Falconeide di quest’anno, trasformata in un vero e proprio show in diretta televisiva, si è rivelata l’ennesimo palinsesto della schizofrenia istituzionale: omaggio ai magistrati morti per aver speso la loro vita contro la mafia, e indifferenza per i magistrati vivi che la mafia vuole seppellire sotto quintali di esplosivo. Il tutto in un tripudio di applausi, selfie, e canzoncine di bimbi in festa. Viva Falcone. Viva Borsellino. E Di Matteo? Cazzo, chi è costui?

Il presidente del Senato Piero Grasso, addirittura, ha sentenziato: “La mafia delle stragi non esiste più“, come a dire che i piani di morte contro il pm di Palermo sono balle senza fondamento.

Eppure non più di un paio di mesi fa, a Palermo è scattato l’ennesimo allarme dopo l’avvistamento di due misteriosi uomini, armati di un fucile di precisione, davanti all’ingresso del circolo del Tennis dove Di Matteo trascorre qualche ora di relax. E il rischio di un nuovo attentato è considerato così alto che per evitare l’appostamento di eventuali ‘’cecchini’’, il Pg Roberto Scarpinato nei giorni scorsi ha chiesto di installare telecamere sul tetto dell’edificio di fronte al Palazzo di Giustizia. Ma Rosy Bindi, interpellata a margine della parata pro-Falcone, non ha trovato di meglio che spezzare una lancia a favore di Francesco Lo Voi, il procuratore di Palermo voluto fortemente da Giorgio Napolitano (proprio per spegnere i ‘’protagonismi’’ del pool Trattativa) e bocciato tre giorni fa dai giudici amministrativi che hanno giudicato ‘’illegittima’’ la sua nomina da parte del Csm: “Il Tar boccia troppo – ha dichiarato Bindi- Ho piena fiducia nel Csm”. Come a dire che la nomina di Lo Voi, pur se ritenuta ‘’contraria alla logica e alla ragionevolezza’’, non è in discussione. E che il plenum di Palazzo dei Marescialli, quello stesso che pochi giorni fa ha scartato Di Matteo in corsa per un posto di sostituto nella Dna, non si toccaSul tema, anche Rodolfo Sabelli, presidente dell’Anm, non è stato da meno: “Noi non interveniamo su queste vicende, non bisogna attribuire troppa enfasi a queste cose’’.

Nel giorno della parata a favor di telecamere, insomma, si fa a gara per minimizzare la portata del duello istituzionale tra Csm e Tar che investe la direzione dell’ufficio inquirente più esposto nel risiko della giustizia italiana, e si finge di non vedere lo scontro interno alla procura di Palermo che sembra ripetere a distanza di quasi un quarto di secolo la ‘’via crucis’’ falconiana. Di Matteo? Cazzo, chi è costui?

Alla fine, in collegamento da Roma, Pif ha rilevato con un pizzico di amarezza: “Ogni anno sui giornali l’articolo sul 23 maggio è sempre più piccolo”’. Forse perché il palchetto del potere che gioca all’antimafia è sempre più ipocrita e insulso.

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