Poste Italiane S.p.a. ha presentato il 16 dicembre scorso il nuovo Piano strategico 2015-2019, evidenziando come questo preveda un unico Gruppo integrato, focalizzato su 3 aree principali: Logistica e Servizi Postali, Pagamenti e Transazioni, Risparmio e Assicurazioni.

Le previsioni sembrano allettanti. Si parla di una possibilità di fatturato in crescita verso i 30 miliardi di euro, una profittabilità che dovrebbe tornare a crescere, investimenti in piattaforme e servizi digitali per circa 3 miliardi di euro, lo sviluppo nella logistica pacchi con obiettivo di quota di mercato superiore al 30% nel segmento business to consumer; piattaforma per i pagamenti digitali, l’ingresso di 8000 nuove persone (50% nuove professionalità), la riqualificazione di altrettante e infine, la ridefinizione del Servizio Universale postale (S.U.)  in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico, prima della firma del nuovo Contratto di Programma 2015\2019 prevista entro il 31 marzo 2015.

Di fatto, stando a quanto riferito da fonti sindacali e numerosi atti presentati a livello parlamentare, questo piano dovrebbe determinare a livello nazionale, la chiusura di ben 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, nell’ambito dell’ormai avviato processo di privatizzazione di Poste S.p.a.

Le proteste sono all’ordine del giorno della stampa e le principali preoccupazioni rappresentate dipendono dal timore che certe decisioni assunte unilateralmente da Poste S.pa sulla chiusura di sportelli e uffici in tutta Italia provochino una grave diminuzione della qualità e della fruibilità del servizio fornito alla clientela che risiede in aree svantaggiate, ma anche preoccupanti conseguenze sulla tenuta occupazionale del personale attualmente addetto presso le agenzie di recapito.

Sul primo punto, appare utile ricordare e una verifica in tal senso sarebbe certamente doverosa, che la delibera n. 342/14/Cons dell’Agcom che, nel modificare criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone remote del Paese nella redazione del piano annuale di razionalizzazione degli uffici postali. In particolare, sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, inoltre, impone a Poste di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull’impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale.

Sul secondo punto lo stesso ad Francesco  Caio ha assicurato che non sarà licenziato nessuno e lo stesso governo si è impegnato formalmente in Parlamentoa considerare ogni atto di competenza finalizzato a assicurare durante l’iter di privatizzazione di Poste Italiane S.p.a la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali attuali di tutti i lavoratori impiegati presso l’ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito postale ”.

Come noto le rassicurazioni fornite da Caio sul mantenimento degli attuali livelli occupazionali non hanno convinto affatto i sindacati anche dopo la presentazione del nuovo Piano industriale. Vedremo come evolveranno le questioni da qui a qualche tempo, ma un aspetto di cui si parla poco ma che dovrebbe essere preso schiettamente in considerazione è che, paradossalmente, se si avviasse una seria ridefinizione del servizio universale togliendo a Poste quella posizione di monopolio di cui gode da sempre, si potrebbe ottenere un considerevole gettito per l’erario da destinare esclusivamente al mantenimento di numerosi uffici postali attualmente considerati “improduttivi” o “diseconomici” e che svolgono invece un servizio essenziale per le attività quotidiane di imprese, famiglie e residenti anziani soprattutto nei territori più  disagiati.

La delibera 728/13/Cons l’Agcom aveva manifestato evidenti perplessità sul mantenimento di alcuni servizi all’interno del perimetro del Servizio universale. Le caratteristiche di molti servizi non sembrerebbero, infatti, compatibili con il regime di S.U. che è volto -per definizione- alla promozione di inclusione sociale di categorie deboli di consumatori. L’analisi prende in considerazione le due macrocategorie dei mercati degli invii singoli e dei mercati degli invii multipli rientranti nel S.U. All’interno del mercato degli invii singoli dovrebbero uscire dal S.U. gli invii di posta assicurata e gli invii di pacchi ordinari fino a 20 kg. Per quanto riguarda il mercato degli invii multipli, l’Agcom non ravvisa l’opportunità di fornire in regime di SU né gli invii di corrispondenza ordinaria (posta massiva, posta certificata e posta prioritaria pro), né gli invii di corrispondenza registrata (Raccomandata Smart, Raccomandata Pro, Assicurata Smart). Anche gli invii di atti giudiziari, sia singoli che multipli, non dovrebbero essere offerti in regime di esclusiva secondo l’Agcom, né dovrebbero essere inclusi nel S.U.

In Italia, questi prodotti rientrano nel perimetro del Servizio universale, godendo dell’esenzione Iva qualora forniti da Poste Italiane, e sono, invece, ‘ivati’ se forniti da operatori diversi, con tutte le conseguenze in termini di limiti alla concorrenza ed alla equa competizione tra gli operatori del mercato che si possono immaginare. In pratica, nel nostro Paese uno stesso prodotto fornito da Poste piuttosto che da qualsiasi operatore privato gode di 2 regimi fiscali diversi. In Europa, invece, Germania, Olanda, Austria, Belgio, Finlandia e anche il Regno Unito, le cose vanno molto diversamente ed è stato posto fine all’esenzione Iva per i prodotti di posta commerciale, perché perfettamente gestibili dal mercato. Solo la Francia mantiene un’esenzione Iva sulla posta massiva, giustificata dal fatto che lì vige un monopolio di fatto.

E i risvolti potrebbero essere molteplici, perché secondo le stime fornite da Confindustria Fise Are portati all’attenzione del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi in occasione di un confronto sul ddl sulla Concorrenza, Poste, al netto di quanto previsto dalla legge di stabilità 2015, genera ricavi per circa 2,4 miliardi di euro per il segmento del Servizio Universale e ha ricevuto un rimborso negli ultimi anni dei costi sostenuti pari a 360 milioni di euro l’anno, cioè 1/6 dei ricavi complessivi, contrariamente a quanto accade in Europa dove solo in 3 Paesi lo Stato finanzia le perdite del fornitore del servizio universale attraverso il proprio bilancio, che non arriva mai sopra gli 80 milioni di euro. Infine, se si rivedesse il perimetro del servizio universale postale alla stregua delle indicazioni fornite da Agcom in linea con la legislazione europea, secondo i calcoli forniti da Confindustria Fise Are, si potrebbe addirittura ottenere un gettito aggiuntivo per l’erario stimato di ben 300 milioni di euro annui.

Risorse che, una volta accertate e opportunamente rendicontate, potrebbero essere finalizzate all’apertura di quegli uffici postali che, specialmente nelle aree più critiche, sembrerebbero chiudere oggi con conseguente mantenimento dei livelli occupazionali, aprendosi contestualmente il mercato ad una maggiore competizione sui prezzi e libertà di scelta da parte dei consumatori in ambiti che poco hanno a che fare con il regime di servizio universale.

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