Una denuncia penale alla Procura di Roma. Con trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri. Il tutto per accertare se la delega fiscale abbia travalicato le normali competenze «costituendo in tal modo un reato commesso nell’esercizio delle funzioni del ministro o del presidente del Consiglio».

Guai in vista per Matteo Renzi, preso con le mani nel sacco per le impronte digitali lasciate sul luogo del “delitto”. E’ stato il premier in persona, del resto, ad ammettere che la famosa “manina” di Palazzo Chigi che aveva scritto le norme più contestate era proprio la sua. Un’ammissione che ora rischia di costargli un’indagine per falso in atto pubblico. Per l’esposto-denuncia presentato dall’ex senatore Elio Lannutti, presidente dall’Adusbef (Associazione di utenti bancari finanziari assicurativi e postali) alla Procura della Repubblica di Roma in seguito alla vicenda della norma salva-Silvio, spuntata la vigilia di Natale nella delega fiscale dopo che il Consiglio dei ministri aveva già deliberato sul provvedimento. L’associazione di Lannutti vuole vederci chiaro e per questo chiede alla magistratura di accertare se con la normativa, «probabilmente scritta da studi legali che difendono imputati eccellenti di frodi fiscali a danno della fiscalità generale e dei contribuenti onesti tartassati», anche per colpa «di evasori che sottraggono circa 120 miliardi l’anno» all’Erario, il premier non sia andato oltre i limiti  delle norme che regolano le sue competenze e la correttezza dei procedimenti legislativi.

La vicenda è nota. Con il pretesto della certezza del diritto nei rapporti tra contribuenti e fisco, la norma voluta dal premier avrebbe finito per depenalizzare, con effetto retroattivo, i reati di frode ed evasione fiscale qualora l’Iva o le imposte sui redditi evase non superassero il limite del 3 per cento rispettivamente sull’ammontare dell’imposta o dell’imponibile dichiarato. Risultato: chi più evade più guadagna, senza rischiare la galera, ma solo sanzioni amministrative. «Chi fattura un milione di euro, poteva evadere fino a 30 mila euro, chi fattura un miliardo poteva evadere, per effetto del 3 per cento, 30 milioni di euro – si legge nell’esposto dell’Adusbef – Uno schiaffo ai contribuenti onesti spina dorsale della fiscalità generale» e un vero e proprio regalo per una serie di famosi personaggi e aziende di primo piano finite nel mirino dell’amministrazione finanziaria e delle procure.

Il caso di Silvio Berlusconi, già condannato in via definitiva per frode fiscale e che ovviamente avrebbe beneficiato pure lui del “condono”, non è neppure il più eclatante. Perché, come ricorda Lannutti, quella norma rischiava di far saltare una lunga serie di processi in corso. «Dai presunti fondi neri e tangenti in relazione agli appalti per il Sistri dell’inchiesta Finmeccanica a quella per presunta frode fiscale nella cosiddetta “operazione Brontos”, che vede indagato anche l’ex amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo (si parla di 245 milioni di euro sottratti al fisco dal 2007 al 2009), di cui la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio nel giugno scorso». Tra i potenziali beneficiari c’è anche la famiglia Riva, già proprietaria dell’Ilva di Taranto, finita nei guai proprio per frode fiscale. Ma c’è anche la famiglia Aleotti, proprietaria della Menarini Farmaceutici, nella bufera per i «178 milioni spesi per acquistare il 4% di Banca Mps», che gli inquirenti sospettano siano arrivati «da 1,2 miliardi di euro accumulati con la contestata truffa sui principi attivi dei farmaci, con la corruzione di pubblici ufficiali e con numerosi reati di frode fiscale». Senza contare i vantaggi che ne avrebbero tratto big dell’imprenditoria «come Prada (ha sborsato 470 milioni, ma la procura di Milano come “atto dovuto” ha ancora aperto un fascicolo per “omessa o infedele dichiarazione dei redditi”, che vede indagati proprio Miuccia Prada, Patrizio Bertelli, e il loro commercialista) e Armani (270 milioni)».

All’esposto, Lannutti ha allegato il parere di due illustri costituzionalisti, tratti dalle interviste rilasciate dai due giuristi al “Fatto Quotidiano”. Quello di Alessandro Pace, che definisce una «gravissima violazione delle nostre istituzioni democratiche» la vicenda della “manina” del premier. «Perché il presidente Renzi, pur ricoprendo la massima carica politica del nostro ordinamento costituzionale – argomenta – ha usato un sotterfugio per far sì che una sua volizione “individuale” assumesse Ie sembianze di una disposizione legislativa approvata con tutti i crismi dal Consiglio dei ministri, contro la verità dei fatti». Sulla stessa lunghezza d’onda anche il collega Federico Sorrentino: «E’ che siamo al di là di una leggerezza. Siamo di fronte a un falso in atto  pubblico. Che per un premier, un ministro o comunque un funzionario pubblico è particolarmente grave» , sostiene Sorrentino.

Questa la denuncia di Lannutti. Adesso toccherà ai magistrati stabilire se tutto l’affaire e l’ammissione di responsabilità del premier Renzi sulla scrittura del famigerato decreto fiscale costituiscano un falso in atto pubblico così da meritare la trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri. L’obiettivo del presidente dell’Adusbef è anche quello di «prevenire la reiterazione di un danno valutato almeno 16 miliardi di euro» ed evitare che un’altra “manina” possa spuntare di nuovo quando il 20 febbraio il governo tornerà ad occuparsi della materia.

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