Una ‘ndrina che operava in collegamento con i referenti in Calabria, riconducibili alla cosca dei Pizzata. E sarebbero stati proprio esponenti di questa cosca ad uccidere a Roma nel gennaio dello scorso anno Vincenzo Femia, boss di San Luca considerato referente della cosca Nirta-Scalzone nella capitale.

L’operazione, coordinata dalla Dda, ha portato a una trentina di arresti, al sequestro di 600 chili di cocaina e hashish, armi e un manoscritto contenente i riti di affiliazione alla ‘Ndrangheta. Il documento, denominato ‘Codice San Luca‘, era composto da una serie di appunti che sono stati decifrati dagli investigatori. A eseguire le misure e le perquisizioni ordinate dai pm 400 agenti della Polizia e della Guardia di Finanza. Agli indagati sono contestati, oltre l’omicidio di Femia (avvenuto a Roma il 24 gennaio del 2013), alcuni ferimenti e diverse estorsioni.

Femia da anni era uno degli esponenti di spicco e referenti della ‘ndrangheta su Roma da vent’anni. Quando fu ucciso gli inquirenti parlarono di ”un personaggio di primo piano” nella malavita della Capitale, con diversi precedenti tra cui associazione mafiosa e appartenente alla cosca di San Luca, conosciuta per la strage di Duisburg in Germania nel 2007. Femia, originario di Reggio Calabria residente nel quartiere di Montespaccato, era sorvegliato speciale. Il presunto killer fu arrestato nel luglio del 2013 e aveva iniziato a collaborare, l’ipotesi degli inquirenti è che dietro l’omicidio ci fosse il progetto criminale per la creazione di una nuova ‘locale’ della ‘ndrangheta a Roma. Alla quale la vittima si sarebbe opposto. Successivamente erano arrestati altri due uomini, accusati del delitto.

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