Il testo? “Non abbiamo ancora visto nulla”. Ma possiamo sperare di averlo in serata, dopo il Consiglio dei ministri? “Non lo sappiamo…potrebbe volerci più tempo. Ti ricordi lo Sblocca Italia?”. Sono gli stessi portavoce di Palazzo Chigi a rievocare l’ultimo “caso”, quello del provvedimento sulle misure urgenti per cantieri, opere pubbliche e infrastrutture strategiche. Che uscì dal Cdm nella serata del 29 agosto, fu presentato come sempre da Matteo Renzi con l’ausilio di una manciata di vivaci slide ma divenne pubblico solo con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale avvenuta due settimane dopo, il 12 settembre. Non sembra aver preso una strada diversa la Legge di Stabilità, varata in extremis nella notte del 15 ottobre, poco prima del termine ultimo per l’invio alla Commissione Ue. E questo nonostante nel corso della conferenza stampa notturna che è seguita al Consiglio dei Ministri il premier abbia pubblicamente dichiarato che il testo della Legge sarebbe stato divulgato nel giro di poche ore, passando contestualmente la palla al ministro dell’Economia che ne ha garantito la pubblicazione per la sera stessa. La notte deve aver però portato consiglio: a più di 12 ore dalla sua approvazione, il testo non è ancora uscito da Palazzo Chigi da dove le risposte si fanno sempre più vaghe e il documento più misterioso. “Sarà presentato alle Camere lunedì”, fanno sapere gli addetti stampa. Ma Renzi e Padoan avevano detto… “Si, lo sappiamo, ma ci sono state delle modifiche e ora il Tesoro deve riscrivere il testo. Poi magari riescono a chiudere entro sera, ma l’indicazione che abbiamo è che sarà disponibile tra venerdì mattina e lunedì”, sono le uniche previsioni che si riescono a strappare. Lunedì si vedrà.

La questione non è di lana caprina. La Legge di Stabilità è un passaggio chiave per valutare la credibilità del governo e, quindi, del Paese, oltre che per capire come verranno distribuite le poche risorse disponibili. A Bruxelles, dove i commissari europei lo passeranno al setaccio per valutare se è in linea con il Patto di stabilità, sono stati mandati solo i saldi. Mentre economisti, sindacati, imprese, contribuenti e analisti finanziari stanno in queste ore facendo i conti sulla base di dichiarazioni non documentate e bozze di testi antecedenti le modifiche apportate dall’esecutivo mercoledì sera. Quando cioè la manovra è lievitata da 30 a 36 miliardi contro i 20 delle settimane precedenti. E’ chiaro quindi come sia molto alta l’attesa di capire, numeri alla mano, quali saranno le ricadute effettive sul mercato del lavoro pubblico e privato (tra le altre misure, stando alle anticipazioni, ci sono il taglio dell’Irap, le risorse per i nuovi ammortizzatori sociali e la regolarizzazione di 150mila insegnanti precari), sulle spese degli enti locali, sulle detrazioni fiscali. Aspetti che fanno la differenza per la vita dei cittadini e delle imprese.

Eppure, ad ora, non è dato sapere che cosa ci sia esattamente nel testo e dove il governo Renzi ha deciso di affondare le forbici o aprire i rubinetti. Questo dopo il solito balletto di ritardi e rinvii: la riunione del governo, convocata per le 15, è stata prima rimandata alle 18 e poi posticipata di ora in ora, tra notizie ufficiose di “limature” e riscritture in corso ma senza alcun annuncio ufficiale. Alla fine la riunione dell’esecutivo è iniziata pochi minuti prima delle 20, a tg della sera iniziati. Ed è finita poco prima delle 22, comunque troppo tardi, se anche dopo il Consiglio fosse immediatamente stato diffuso il documento, per permettere ai giornali di esaminarlo da cima a fondo prima della chiusura. Quindi l’informazione in edicola oggi, come per altri provvedimenti chiave, è essenzialmente basata su tweet, slide, ipotesi e bozze pre “limatura”. E domani c’è la possibilità che il tema venga superato da altri avvenimenti di cronaca.

Tutto perfettamente in linea con la tendenza consolidata del governo “del fare”: molti annunci, di solito diffusi urbi et orbi all’ora del telegiornale, ma provvedimenti concreti con il contagocce. La storia si ripete dallo scorso aprile, quando (era il 18) Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan presentarono il decreto Irpef, quello che introduceva il bonus di 80 euro. Unico materiale scritto a disposizione: dieci tweet. Per vedere il testo, che pure il premier sventolò davanti ai giornalisti, ci volle una settimana (23 aprile). Ma i tempi si allungano a un mese e mezzo se il timer si fa partire dal 10 marzo, quando Renzi per la prima volta promise ufficialmente i “1000 euro in più in busta paga”. Ancora peggio per la riforma della Pubblica amministrazione firmata da Marianna Madia. Che dopo il Consiglio dei ministri del 30 aprile fu presentata sotto forma di linee guida e sottoposta per 40 giorni alla solita “consultazione pubblica”, per essere poi ri-presentata e ufficialmente licenziata dal successivo Consiglio dei ministri del 14 giugno. Ma poi per dieci giorni se ne persero le tracce. Il decreto fantasma causò anche un incidente diplomatico con il Quirinale, che rimandò al mittente il “canovaccio” (non un testo compiuto) arrivato sulla scrivania di Giorgio Napolitano per la firma. In Gazzetta approdò solo il 24 del mese. Quanto alla riforma della giustizia, annunciata “in 12 punti” il 29 agosto insieme allo Sblocca Italia, per leggere il decreto avvocati, magistrati e cittadini hanno dovuto penare 12 giorni. Anche se il presidente del Consiglio e il ministro Andrea Orlando giù quella sera garantivano di avere i testi nel cassetto. 

A completare il quadro c’è il fatto che l’esecutivo Renzi ha l’abitudine di convocare i Consigli dei ministri nel tardo pomeriggio e farli slittare fino alle ore serali. Seguono conferenze stampa a beneficio di pubblico a casa più che degli addetti ai lavori: come è noto, il premier predilige la comunicazione immediata e a colpi di slogan e 140 caratteri. Insomma, sono lontani i tempi delle segreterie convocate alle “7 del mattino e si inizia alle 7,30”, come annunciava il neosegretario del Pd il 10 dicembre. Anzi, per il Consiglio dei ministri quei tempi non sono mai cominciati. Eppure durante i primi mesi di governo, l’esecutivo veniva spesso convocato presto, in osservanza del principio renziano vigente all’epoca secondo cui bisognava dare all’opinione pubblica l’idea di un deciso cambio di passo: sul sito del governo si legge di riunioni iniziate alle 8.00 (26 marzo) o alle 8.55 (21 marzo). Con il passare del tempo, tuttavia, l’orario di convocazione si è spostato sempre più in là, verso sera. Spesso e volentieri in coincidenza di provvedimenti importanti. Dall’inizio dell’estate in poi solo in tre casi il consiglio è terminato prima delle 19 (8 agosto, 10 e 19 settembre). 

In Europa funziona in maniera esattamente contraria: in genere gli esecutivi dei grandi Paesi si riuniscono al mattino. A Berlino il Consiglio dei ministri è fissato ogni mercoledì alle 9.30 del mattino e subito dopo la riunione l’esecutivo fa il punto con la stampa. Nel Regno Unito il governo Cameron tiene il proprio meeting settimanale ogni martedì mattina alle 10 nella Cabinet Room di Downing Street e poi il Prime Minister’s Spokeperson (il portavoce del primo ministro) incontra i giornalisti per metterli al corrente delle tematiche discusse e delle decisioni prese. Ma non è stato sempre così: fino al 30 giugno 2007, quando l’allora premier Gordon Brown decise di anticiparlo di due giorni, il Cabinet si riuniva di giovedì, ma sempre di mattina. Si riunisce alle ore 10 anche il Conseil des ministres in Francia: lo fa ogni mercoledì nel Salon Murat del palazzo dell’Eliseo. Di mattina, solitamente al venerdì, si tengono anche le riunioni del governo di Mariano Rajoy al Palacio de la Moncloa a Madrid e del governo belga, i cui ministri si ritrovano puntualmente alle ore 10 al numero 16 di reu de la Loi a Bruxelles, dove hanno sede la segreteria e la Cancelleria del primo ministro.

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