Una nube nera che esce dall’inceneritore più grande d’Europa, la seconda in due anni ad alzarsi sulla città di Brescia di cui non si conoscono con precisione gli effetti sull’ambiente e sulla salute della popolazione. È successo lo scorso 27 aprile, poco prima delle 12, anche se il gestore dell’impianto – A2A Ambiente – ha informato le autorità dell’incidente solo la sera del giorno successivo quando già circolavano le fotografie della nube scattate da un passante. La multiutility A2A rassicura precisando che “tutti i valori si sono mantenuti costantemente e abbondantemente sotto i limiti autorizzati”. Ma l’Agenzia regionale per l’ambiente rileva – in una relazione datata giugno 2014 che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare – che ci sono state “interruzioni durante il campionamento” nei minuti in cui era in corso l’incidente. I dati sulle diossine, quindi, non sono stati registrati dall’azienda.

L’incidente – Un pennacchio nero fuoriuscito dalla torre dell’inceneritore di A2A, fotografato la mattina del 27 aprile 2014 con il cellulare da un passante, torna a gettare un’ombra sulla gestione dell’“impianto modello” di Brescia. Il timore è che l’abbassamento delle temperature di combustione possa aver causato nell’aria un picco di diossine e Pcb, sostanze tossiche cancerogene. Secondo la multiutility A2A, per la breve durata dell’evento causato da un “temporaneo calo di tensione” sulla linea elettrica, “non si sono verificati abbassamenti della temperatura di combustione”. Tutto regolare, come confermerebbero i dati “nel pieno rispetto dei limiti di emissione di tutti i parametri” secondo l’azienda. Cos’è stata dunque quella fumata nera? La domanda non è secondaria, trattandosi di un impianto che brucia ogni giorno centinaia di tonnellate di rifiuti (la portata è di 800mila tonnellate all’anno).

L’Agenzia per l’ambiente ha cercato di vederci chiaro acquisendo i livelli di emissioni di diossine durante l’incidente, che dovrebbero essere monitorati in continuo dall’azienda. Ma quei dati, riporta la relazione ispettiva, non ci sono. L’Arpa ha rilevato che “il campionatore automatico della linea tre non ha registrato i dati di campionamento relativi al mese di aprile 2014”, tanto che i tecnici hanno dovuto tentare di ricostruire le emissioni sulla base di una stima. Ma mancano comunque, per tutte e tre le linee dell’impianto, i dati sul picco di diossine fuoriuscite dal camino nel corso dell’incidente. Il 27 aprile 2014, infatti, secondo l’Arpa vi sono state “interruzioni durante il campionamento per la linea 1 dalle ore 10.46 alle ore 12.01, per la linea 2 dalle 10.35 alle 10.51, per la linea 3 le informazioni sono mancanti”. Impossibile dunque risalire ai livelli di diossine emesse dall’impianto durante la nube nera, perché “nelle fasi con stato impianto 35 (funzionamento anomalo) la ditta ha impostato lo stand by dello strumento”.

Il precedente – Un analogo incidente, con nube nera sulla città, era avvenuto l’8 agosto 2012 e la magistratura aveva aperto un’inchiesta. Anche in quel caso il guasto aveva interessato tutte e tre le linee ma i campionatori in continuo delle emissioni di diossine si erano disattivati “perché i criteri impostati – scriveva l’Arpa – consentivano il campionamento solo nei periodi di normale funzionamento dell’impianto”. Solo il dispositivo della linea 2, disattivato con mezz’ora di ritardo, aveva riportato il valore di 0,21 nanogrammi per metrocubo, 400 volte superiore a quelli normalmente dichiarati dall’impianto. Gli ispettori Arpa contestavano all’azienda di “ostacolare l’attività di controllo dell’autorità preposta”, ma alcune prescrizioni sono state poi recepite nel rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale del 2014, e il pm ha chiesto l’archiviazione del fascicolo. A distanza di due anni, di fronte a un nuovo incidente, l’Arpa torna a prescrivere ad A2A che i dispositivi di campionamento siano mantenuti sempre attivi “per monitorare l’impianto in ogni condizione reale”.

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