È solo questione di un attimo, un attimo ben organizzato, oliato nel tempo, a loro basta un veloce sguardo sul tabellone generale o l’orecchio pronto ad ascoltare l’annuncio “il treno Frecciarossa è in arrivo al binario…”, e il gruppetto si materializza. Si dividono in due squadre di quattro o cinque elementi ciascuna: la prima individua il viaggiatore a terra, ancora meglio se straniero, carico di bagagli e donna. Quindi gli offre un aiuto. Il secondo team sale direttamente sul treno, ed è razzia. È la storia dell’assalto alle nuove “diligenze”. Roma, Firenze, Bologna, Milano, poco cambia, mutano alcuni schemi, maggiori o minori criticità, ma la sostanza è sempre la stessa, con una “lotta quotidiana impari. Ci siamo beccati botte, insulti, sputi e denunce. Sì, denunce, questa non è vita”, racconta un capotreno di cinquantacinque anni e migliaia di chilometri ferrati in carriera. È stanco e frustrato, ma non per l’età.


di A. Ausilio e A. Ferrucci 

Partenza da Roma
Ore 8.30, la schermata iniziale della biglietteria self service dà la giusta cifra alla giornata in stazione, “attenzione ai borseggiatori”, recita prima di erogare il servizio richiesto. Occhio. Alcune donne offrono un aiuto ad usare la macchinetta, altre chiedono l’elemosina, parlano molte lingue, comunque riescono a farsi capire, in sostanza arrotondano il lavoro dei loro uomini. “Arrivano tutti insieme verso le sette del mattino – spiega un poliziotto della Polfer – Ogni giorno sono 150, a volte 200 persone, scendono dalle auto e iniziano la caccia al viaggiatore”. Una caccia senza sosta che dura fino a pomeriggio inoltrato. “Il fenomeno è partito circa un anno fa, ma da quattro, cinque mesi è esploso e noi non abbiamo gli strumenti per bloccarlo, al massimo riusciamo ad arginare. Tutti i giorni la stessa tarantella”. Individua, insegui, blocca. Documenti. Arrivederci. “Guardi, eccoli in azione”. In quattro circondano una coppia di anziani, agguantano il bagaglio con la scusa di regalare un servizio, il lui cammina con le stampelle, la donna è confusa, combattuta tra l’accettare o meno, perché “molti passeggeri non capiscono subito –spiega Emilio, controllore – hanno il dubbio sia un vantaggio offerto da Trenitalia, la realtà la comprendono troppo tardi, magari quando il treno è già partito e si accorgono di non avere più portafogli, cellulare o altro”. La coppia è salva, il servizio di sicurezza della stazione Termini fa segno alla Polfer, questi ultimi intervengono, i quattro se ne vanno. “Ma è un palliativo – si lamenta uno degli agenti – interveniamo di continuo”. I numeri lo raccontano: da inizio anno, solo a Termini, si contano oltre 2.500 denunce, un centinaio di arresti, “ma tutti inutili, vengono liberati immediatamente, non esiste alcun sistema sanzionatorio, e se ora passa la riforma delle carceri, sai che risate. Neanche ci passano nel penitenziario, altro che sicurezza” conclude, amaro, l’agente.

È in arrivo sul binario dodici… Si ricomincia, tutti all’opera. Un Frecciargento entra in stazione, si ferma, i controllori sembrano dei marines, scendono dalla carrozze consci da cosa li attende, alcuni si piazzano davanti le scalette, si preparano alla ronda di controllo sui vagoni, su e giù, provano a cacciare, imprecano, sudano, una signora urla per ottenere un loro intervento, un gruppo di turisti è braccato da due ragazzi che gli stanno sfilando 80 euro. “Sa qual è l’aspetto più mortificante?”, interviene un altro controllore. No, ci dica. “Ho due denunce”. Per cosa? “Maltrattamenti”. Li ha aggrediti. “Ma cosa dice! Mi vede?” Effettivamente non ha l’aspetto minaccioso: cinquantasei anni, alto uno e settanta, paffuto, brizzolato, occhiali da vista, scarpe nere consumate, tanta voglia di andare in pensione. “Se li tocchiamo, se gli mettiamo solo una mano sull’avambraccio per chiedergli di scendere, subito ci denunciano! Immediatamente. Così creano un precedente, sono organizzati anche in questo. Quanti sputi mi sono beccato, calci sugli stinchi, pugni sui fianchi mentre sono di spalle, insulti nell’orecchio. Eppure me li trovo sempre qui. Alcuni li conosco. Non ci sono leggi, impossibile fermarli”. Il treno riparte, un po’ di respiro fino alla sosta successiva.

Prima tappa: Firenze SMN
Ore 10.20. È considerata una delle più pericolose, meno gestibili, dove il rapporto tra viaggiatori e forze dell’ordine è sproporzionato per difetto e dove il numero di turisti è in crescita. Qui i gruppetti di ladruncoli attraversano indisturbati i binari per passare da treno a treno, hanno anche il tempo di spezzare la monotonia con una partitella improvvisata a pallone.

Un mendicante italiano impreca “andate affanculo , bastardi!” Scusi, cosa succede? “Da quando ci sono loro non vedo una lira… un euro”. Controllori, personale interno della stazione, Polfer, tutti raccontano le stesse scene dei colleghi di Termini. Parlano di impotenza, di aggressioni, di continui fermi e continui rilasci. Di senso di inutilità. “Lo vede quel ragazzo la?” l’agente indica un tizio muscoloso, tatuato, con scarpe da ginnastica, neanche trent’anni. “Ieri l’ho bloccato tre volte, altrettante se ne è andato”. Di che nazionalità è? “La maggior parte sono romeni, ma occhio a dirlo altrimenti ci accusano pure di razzismo. In mezzo a loro si è infilato qualche bulgaro. Ma restano quasi tutti romeni. Se ora lo segue a breve entrerà in azione…” Vero. Due minuti e parte insieme ad altri quattro “colleghi”. Stessa tecnica studiata, stesse frasi, atteggiamenti, scaltrezza. Sicurezza.

Seconda tappa: Firenze Rifredi
Ore 11,10. Più piccola di Santa Maria Novella, meno passeggeri ma anche meno controlli. Qui si sistemano in cima alle scale, hanno dei codici cifrati, dei gesti veloci per smistarsi, chi scende, chi sale, chi accompagna al vagone. Sono dotati fisicamente, corrono quando serve, camminano quando devono mimetizzarsi, se trovano un “cliente” particolarmente interessante con un cenno invitano gli amici ad avvicinarsi. La polizia non si vede.

Terza tappa: Bologna centrale
Ore 13,05. La stazione più complessa, più articolata, divisa tra la parte vecchia e la nuova dedicata solo all’alta velocità. Nel primo caso, simile a Firenze Rifredi, i gruppi si organizzano vicino le scale, aspettano il turista, oppure lo inseguono nei lunghi corridoi, così lunghi da lasciarti solo anche nelle ore di punta. Ovvio, come al solito, saltano sui treni, ma hanno meno tempo, non è come a Roma e Milano dove la sosta è più lunga, qui i tempi sono ristretti. Tutto questo non accade nella zona dell’alta velocità, “non gli conviene – spiega un agente bolognese – non tanto per la presenza di telecamere, ma perché hanno meno arrivi e partenze da sfruttare e non riescono a passare velocemente da un binario all’altro. Insomma sono limitati”. Infatti non ne vediamo. Come non vediamo alcuna panchina, e chi non ha forza per restare in piedi è costretto a sedersi in terra. Luci mirate, schermi ovunque, macchinette self service per le bibite, indicazioni su quale percorso è più adatto per uscire, ma nessun punto per sedersi. Neanche fosse una fermata della metropolitana.

Quarta tappa: Milano Centrale
Ore 15,50. In attesa del treno i gruppi sono organizzati con dei carrelli, una sorta di evoluzione rispetto alle altre stazioni. Sono meno invadenti, sembrano meno pericolosi. “Ed è così – spiega un controllore – non è come a Firenze o Roma, casi limite, ma non tutto è roseo. So per certo che i maggiori interventi delle forze dell’ordine sono vicino alle scale mobili della metropolitana, lì avvengono scippi e aggressioni. Anche se il mese scorso proprio qui mi sono beccato un cazzotto sulla nuca”. Da chi? “Non lo so. Mi è arrivato alle spalle. Ho visto tre ragazzi all’opera su un vagone, sono salito, stavano scippando due straniere, ho urlato, si sono fermati, e all’improvviso mi è arrivata la botta da dietro. Il tempo di riaprire gli occhi ed erano scappati. Mi sono rotto le palle, è un continuo, dovrebbero almeno tornare i tornelli”. Tradotto: anni fa si poteva accedere ai binari solo con il biglietto in mano “e non come ora, libero accesso. Magari è poco per fermare, ma è qualcosa”.

Ritorno nella Capitale
Ore 19,25. C’è ancora luce, ma il lavoro dei 150 o 200 è finito. Un altro ragazzo della Polfer ci racconta che in un giorno, ognuno di loro, riesce a tirare su anche duecento euro. Poi aggiunge il solito racconto, ascoltato nell’intera giornata, di frustrazione, di fenomeno in crescita, di un personale di sicurezza in parte inadeguato “perché da noi non arrivano i più giovani, ma chi è agli ultimi anni di servizio. Oltre ad avere meno ricambi. Ma il problema non è solo questo…” Così snocciola una lunga serie di inadeguatezze del nostro sistema giudiziario, di maglie larghe, di impunità, di incapacità a difendersi. Di scarsa collaborazione. “Quelli che fermo mi ridono in faccia, sanno che è inutile, che poco dopo potranno riprendere la loro attività. Non sa quanto mi rode. Ma attenzione, non sono solo loro a fare i furbetti”. E ha ragione. Alla fermata dei taxi a Termini è la norma trovare due o tre autisti in cima alla fila. Scelgono e distribuiscono i clienti. Cercano – anche loro – lo straniero con la valigia al quale chiedere e strappare una tariffa differente da quella ufficiale. Chi si oppone viene respinto con insulti, spintoni no, a cinquanta metri c’è comunque una camionetta dei carabinieri fissa sul marciapiede. Ci avviciniamo e all’i mprovviso sentiamo un tassista che sibila: “Piove”. Eppure il cielo è terso. Sembra una frase da film, sicuramente è ispirata a qualche pellicola, ma in questo caso è riferita a un paio di agenti che si avvicinano per invitare i tassisti a sbloccare la situazione. Tutti salgono in auto, per qualche minuto tutto torna normale, anche alla stazione Termini, la stazione dei predoni.

Da Il Fatto Quotidiano di lunedì 23 giugno 2014

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