Come mai in piena “crisi dell’euro” la Lettonia ha adottato la moneta unica? Follia o lungimiranza?

Dal 1 gennaio 2014 la Lettonia è il 18esimo Paese Ue a fare parte dell’Eurozona. Viene da chiedersi come mai, visto il crescente scetticismo che soffia in Europa in merito ai reali benefici della moneta unica. Vediamo di fare un po’ di chiarezza senza luoghi comuni di sorta.

Prima di tutto va detto che entrare a far parte dell’Euro è obbligatorio per i Paesi che fanno parte dell’Unione europea. Questo non appena i vari Paesi soddisfano le necessarie condizioni (criteri di convergenza economici), ad eccezione della Danimarca e del Regno Unito che hanno negoziato una deroga che consente loro di non adottare l’euro. In Danimarca un referendum sull’unione all’euro si è tenuto il 28 settembre 2000, con il risultato di un 53,2% di voti contrari. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, la moneta unica è vista come il diavolo, tanto che l’allora Premier Tony Blair aveva vincolato l’adozione dell’euro a una procedura di tripla approvazione (gabinetto, Parlamento e referendum). Insomma, praticamente impossibile. A proposito di referendum, una precisazione è d’obbligo: i trattati dell’Unione europea non prevedono la possibilità di uscita dalla moneta unica ma solo dall’Unione europea.

La Lettonia ha adottato l’euro, ma i cittadini sono dubbiosi. Se il governo nazionale ha abbracciato la moneta unica con convinzione, i cittadini sono più che perplessi visto quello che sta succedendo nel resto del Continente. Ma il punto è proprio questo: è davvero l’euro il responsabile della mancata ripresa dell’Europa? I movimenti euroscettici non hanno dubbi, senza l’euro si stava meglio. Per gli economisti, invece, il discorso è un po’ più complicato. Dato per assodato che le origini della crisi economica son ben più lontane (subprime americane, mancata regolamentazione dei mercati finanziari, circolo vizioso tra banche e debito sovrano), il dibattito è invece aperto per capire se l’euro abbia costituito un vantaggio o uno svantaggio nella gestione della crisi.

Le speranze della Lettonia sono di seguire l’esempio della vicina Estonia, che da quando ha aderito all’Euro liquidando le vecchie kroon ha visto ritmi di crescita incomparabili con il passato. Le condizioni di partenza ci sono: rapporto debito pubblico/Pil al 40,7% e deficit a 1,2%. Se consideriamo la vocazione all’export di Riga, l’adesione all’Euro potrebbe aiutare concretamente l’economia del Paese, ma il condizionale è d’obbligo almeno in tempo di crisi.

Un altro motivo di adesione alla monta unica è tutto politico. Se all’origine dell’Ue l‘euro era stato concepito anche come una maggiore forma di integrazione che avrebbe contribuito alla riduzione del rischio di guerre in Europa, oggi può essere considerato anche come un segnale di rottura dato alla vicina Russia. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare, soprattutto per un piccolo paese baltico e alla luce delle forti pressioni del Cremlino rivolte ai Paesi confinanti, dalla piccola Armenia alla grande Ucraina, per spingerli ad aderire al discutibile progetto di Unione Euroasiatica sognato da Putin.

Il vero problema è che che dici “euro” e vengono in mente Troika e misure di austerità. Ma anche qui, quanta confusione. L’adesione di un Paese alla moneta unica, in teoria, non implica la sottomissione alle misure draconiane della famigerata Troika. Queste misure non sono scritte nel Trattato di Maastricht – i cui parametri andrebbero comunque rivisti – ma sono decise dai capi di Stato e di Governo che si riuniscono periodicamente a Bruxelles e dove prevale la linea dei Paesi più forti, i cosiddetti “falchi d’Europa”, in primis la Germania. D’altronde non è un caso che i greci, il popolo più colpito dalla crisi, siano fermamente contrari a queste misure ma non all’euro in sé (secondo un sondaggio del centro di ricerche Pew dello scorso novembre, il 69% della popolazione greca si dichiara favorevole alla moneta unica).

Ecco allora che l’adozione della moneta unica da parte della Lettonia non sembra così azzardata. La verità è che l’intero discorso sull’euro, destinato a dominare la prossima campagna elettorale per le elezioni europee, dovrebbe essere fatto con serietà e giocato sui contenuti non sui luoghi comuni: i suoi detrattori dovrebbero smetterla di attribuirgli populisticamente tutti i mali dell’economia europea e i suoi supporter smetterla di difenderlo a spada tratta senza voler sentir ragioni.

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