“Insieme per l’Europa, vota con fiducia, la distruggeremo”. Tra gli appuntamenti cruciali della primavera 2014 c’è il voto del 22-25 maggio per il rinnovo del Parlamento Europeo. Una data cruciale perché il consenso delle formazioni euroscettiche è tanto cresciuto che non è poi così remota la possibilità che riescano a strappare una quota consistente dei 751 seggi in palio. Si parla di un 25-30%, abbastanza da rendere il prossimo Parlamento europeo quanto mai instabile, proprio quando la neoeletta assemblea dovrà nominare il nuovo Presidente della Commissione, cioè il governo dell’Unione. Alle tre del mattino di lunedì 26 maggio, dopo la ripartizione tra i gruppi politici, il verdetto potrebbe essere definitivo: l’Europarlamento, e dunque l’Europa, è ingovernabile. Anche uniti in una Grande coalizione, i partiti tradizionali – i popolari del Ppe, i socialisti del Pse, i liberali dell’Alde – potrebbero non avere la maggioranza per governare, mentre uno schieramento di nazionalisti, populisti, xenofobi, eurocritici, euroscettici, eurofobici, estremisti di destra e sinistra avrà impallinato il claudicante progetto di integrazione del Continente per un’altra Europa. Migliore o peggiore, resta da vedere. 

La mappa di chi sogna l’Europa. Per abbatterla
La geografia dell’euroscetticismo in una manciata d’anni e perfino di mesi ha mutato ed esteso i propri confini a furia di cercare consensi e saldature di fronti fisicamente e culturalmente distanti. Francia, Austria e Olanda sono i tre grandi Paesi con partiti antieuro dati in testa, anche se con sfumature diverse che qualcuno sta provando a limare per costruire in Europa un “blocco antieuropeista”. Incontri e i corteggiamenti dei leader sono all’ordine del giorno. Ad aprile Marine Le Pen e l’omologo olandese Geert Wilders hanno infilato i piedi sotto a un tavolo e messo da parte le divergenze per tentare il colpaccio di unire i populisti di destra nella “Alleanza europea per la libertà”. “L’embrione di un gruppo parlamentare è già costituito”, aveva annunciato Le Pen. L’obiettivo è riunire i “patrioti” per “combattere l’Ue che impone i suoi diktat contro l’opinione dei popoli” coinvolgendo i Democratici svedesi, la Fpo austriaca, il Vlaams Belang belga e alcuni esponenti della Lega Nord (il 15 dicembre scorso la leader del Front National francese ha inviato un messaggio di adesione al congresso dei padani). Tutte queste forze politiche puntano a raccogliere i voti “contro”, favorite anche dal sistema proporzionale e dall’astensione, soprattutto fra i moderati. Ecco perché lo scenario è incerto, allarmi e inviti alla calma si susseguono ormai quotidianamente. 

ECCO COME SI VOTA
Il Parlamento europeo è composto da 751 deputati eletti nei 28 Stati membri dell’Unione europea allargata. Dal 1979 i deputati sono eletti a suffragio universale diretto per una periodo di cinque anni. Ogni paese stabilisce le proprie modalità elettorali ma deve garantire l’uguaglianza di genere e la segretezza del voto. Per le elezioni europee vige il sistema proporzionale. L’età del voto è fissata a 18 anni, salvo in Austria (16 anni). I seggi sono ripartiti in base alla popolazione di ciascuno Stato membro. Le donne rappresentano un po’ più di un terzo dei deputati europei. I deputati sono raggruppati per affinità politiche e non per nazionalità. Dividono il loro tempo tra le loro circoscrizioni elettorali, Strasburgo – dove il Parlamento europeo si riunisce in seduta plenaria 12 volte all’anno – e Bruxelles, dove partecipano a ulteriori tornate, nonché a riunioni di commissione e dei gruppi politici.

C’è chi è convinto che le fortune elettorali e demoscopiche di nazionalisti, populisti ed estremisti siano cicliche. Ricorda come lo stesso Fn francese, ad esempio, aveva ottenuto il 10% nelle europee nel 2004 gettando le cancellerie nel panico, ma cinque anni dopo ha dimezzato i voti e oggi è ri-accreditato al 24%. Effetto delle differenze tra nazionalisti che finora hanno impedito una vera saldatura del fronte anti europeista. Altri confidano invece che le soglie di sbarramento dei sistemi elettorali nazionali chiudano le porte dell’Europarlamento a diverse forze euroscettiche. Con la soglia al 4%, ad esempio, la Lega è in bilico. Ma resta il fatto che il partito transnazionale dell’antieuropeismo è tornato a correre da Londra ad Atene e il motivo non è un mistero: la fiducia dei cittadini nell’eurozona sta crollando. Secondo un’indagine Gallup gli scettici sono ormai il 43%, più degli euro-ottimisti che sono ormai fermi al 40%. Tra i Paesi del Mediterraneo a guidare le danze anti euro è stata la Grecia sull’orlo del fallimento, dove Alba Dorata ha mostrato prima che altrove il potere di aggregazione delle formazioni estremiste messe a capo della battaglia per uscire dall’euro. Come è andata a finire ad Atene si sa: attentati e arresti. Resta il voto critico di Syriza e del partito dei Greci Indipendenti che vogliono approfittare del rifiuto delle misure imposte da Bruxelles e dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per imporsi a Strasburgo. Ma l’ondata si è estesa ad altri Paesi, con modalità e contenuti diversi.


Il caso Italia: tre partiti eurodelusi in corsa
Gli europeismi nostrani concorrono ma non trovano sintesi possibile. La Lega Nord chiede un’Europa delle Regioni. Alle ultime politiche ha preso un magro 4,1% ma potrebbe salire, anche per la ristrutturazione generale del partito che vede ora come segretario proprio un eurodeputato. Matteo Salvini insiste che quello è il cavallo di battaglia della Lega in vista del voto, l’Euroregione. Il Carroccio però fatica a far digerire il malcelato razzismo dalle forze nazionaliste non xenofobe come la Fpo austriaca che ha epurato gli elementi estremisti al suo interno o il britannico Ukip che a giungo ha preteso l’espulsione di Mario Borghezio per continuare l’esperienza nel gruppo parlamentare comune a Strasburgo EDF. 
Sulla bandiera dell’antieuropeismo hanno messo da tempo le mani anche i 5 Stelle. Alle politiche hanno incassato un eccezionale 25,5% vincendo, di fatto, la sfida dei partiti italiani. I sondaggi di novembre li danno al 20-24% e ora guardano dritto a Strasburgo. Nel suo discorso di Natale, non è un caso, Beppe Grillo ha messo proprio la sfida europea al centro. L’atteggiamento del movimento non è però di autentico antieuropeismo, quanto di critica frontale al direttorio europeo, prono al potere delle banche centrali e della tecno-finanza, insensibile alle istanze dei cittadini. Per questo Grillo propone un referendum dei popoli sulle regole del gioco, a partire dalla moneta unica e dagli accordi stretti dai governi italiani. E volutamente ambiguo è il tema dell’uscita dall’euro, che  lascia ognuno libero di pensarlo sia come la conta dei delusi e un avvertimento ai naviganti sia di fantasticare un nostalgico (quanto improbabile) ritorno alla Lira nazionale. Diversamente populista, anche il Movimento è stato adocchiato da quelli d’ispirazione nazionalista. Ma la stessa Marine Le Pen ha ritenuto che il programma del M5S non fosse affatto assimilabile a quello delle destre europee. Dove prenderanno posto gli eurogrillini?
La rinata Forza Italia, anche in seguito al riposizionamento per la fuoriuscita di Ncd sta passando il Rubicone che divide pro e contro l’Eurozona. La spaccatura con gli Alfaniani ha lasciato campo libero ai falchi, sempre pronti a far la voce grossa con Bruxelles salvo farsi dettare l’agenda economica dalla Bce quando governavano. Brunetta, per dire, è arrivato più volte a stigmatizzare la necessità di una temporanea uscita dall’euro. In ogni caso in Italia c’è un blocco che marcia, a ranghi divisi, verso Strasburgo. 

Tra miliardari, reazionari e neofascisti. L’Europa divisa che va contro l’Europa
In Spagna il movimento degli Indignados vuole presentare diverse liste alle elezioni di maggio. Anche nell’Europa continentale l’avanzata degli euroscettici è rapidissima. La Francia sta diventando un caso e motivo di forti preoccupazioni per l’avanzata del Fronte Nazionale di Marine Le Pen, estrema destra sociale, che nelle presidenziali del 2011 al primo turno prese il 17,9% e ora è accreditata a un 24%. Il suo menù euroscettico prevede politiche contro l’immigrazione e la moneta unica. In Olanda c’è il Partito delle Libertà guidato da Geert Wilders che nelle elezioni 2012 ha preso il 10% dei voti. In Belgio la grancassa antieuro è affidata a Vlaams Belang (Interesse Fiammingo), estrema destra. Rivendica l’indipendenza delle Fiandre, mano ferma sull’immigrazione e l’uscita dall’orbita della Comunità europea. In Austria fa proseliti il partito Team Stronach fondato dal miliardario austro-canadese Frank Stronach che vorrebbe tornare allo scellino e in cambio di questa promessa ha incassato nelle regionali 2013 il 9% dei consensi. In Germania, paese sul banco degli imputati per l’eurosconquasso, l’ultimo arrivato è Alternativa per la Germania di Bernd Lucke, professore di macroeconomia ad Amburgo. Con la promessa “se vinciamo via dall’euro” ha sfondato la soglia del 5% portando nel Bundestag la prima forza marcatamente antieuropeista e secondo un sondaggio Tns-Emnid veleggia oltre il 20%. In Finlandia alle presidenziali 2012 la lista Veri Finlandesi di Timo Soini si è presa 39 seggi su 200 diventando la terza forza del Paese. Terzo in Ungheria è il movimento di estrema destra Jobbik guidato da Gabor Vona che alle politiche 2010 ha preso il 16,7%, un sondaggio conferma la tenuta al 16%. In Inghilterra il fronte è rappresentato dall’United Kingdom Independence Party (Ukip) di Nigel Farage. Partito di estrema destra non è rappresentato alla Camera dei Comuni ma ha conquistato 13 seggi a Strasburgo con una percentuale di voti (16,5%) superiore a quella dei laburisti (15%). Missione dichiarata, il ritiro del Regno Unito dalla Ue. Sommati i seggi potenziali l’antieuropeismo transnazionale dal 2014 potrebbe pesare per un terzo del nuovo Parlamento europeo e consentire a tanti di parlare al popolo attaccando l’Europa da Strasburgo, dall’interno del suo cuore parlamentare. Se poi sapranno imporre anche un’idea comune e alternativa, partendo da posizioni tanto diverse, è tutta da vedere. Ci sono ancora (e solo) quattro mesi per capirlo.

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