E’ durata molto poco la fuga del sospetto killer di Manchester, Illinois. Dopo un inseguimento di tre ore, le macchine della polizia lo hanno intercettato. Nel conflitto a fuoco che ne è seguito, l’uomo è stato colpito e ferito in modo grave. E’ morto poco dopo in ospedale. Le sue vittime, cinque in tutto – una donna anziana, una giovane coppia e due bambini – erano in quel momento ancora riverse in un appartamento, uccise senza una ragione apparente. Secondo le prime informazioni, dovrebbe esserci una superstite, una bambina, mentre un altro bambino sarebbe ferito.

Un’altra storia di armi e di morte irrompe quindi nella cronaca americana. Un’altra storia che promette di rinfocolare il dibattito sul controllo delle armi negli Stati Uniti. La settimana scorsa Barack Obama ha visto naufragare al Senato la riforma che lui e molti democratici chiedevano da mesi, e che prevedeva maggiori controlli sugli acquirenti e la creazione di un registro nazionale per tutti i tipi di transazione che coinvolgano un’arma da fuoco, anche quelli tra privati. La riforma, naufragata per il voto contrario di quasi tutti i repubblicani e di quattro democratici, era considerata particolarmente moderata. Non conteneva, per esempio, alcun riferimento al bando delle armi d’assalto – scaduto, dopo 10 anni, nel 2004 – né al divieto di vendita di caricatori ad alta capacità.

Anche una riforma così morbida non è comunque riuscita a passare. In questi giorni molte sono state le analisi, anche all’interno della Casa Bianca, per cercare di capire cosa è politicamente mancato all’azione di Obama. Un’interpretazione possibile è quella relativa alla mancanza di chiarezza che il presidente e i suoi alleati avrebbero dimostrato in quest’occasione. Ogni intervento di Obama è infatti stato rivolto a parlare piuttosto genericamente di “gun control” senza precisare in modo chiaro che la riforma riguardava specificamente un complesso di misure rivolte ad allargare i controlli su vendita e acquisto di pistole e fucili. Un’altra critica che in privato, nelle stanze della Casa Bianca, sembra sia stata avanzata – per esempio dal vicepresidente Joe Biden – riguarda la gestione politica. L’amministrazione Obama è andata avanti, sino alla sconfitta finale al Senato, ben sapendo di non avere i voti per vincere. Una migliore gestione politica, un’opera di convincimento più mirata sui senatori ancora indecisi, avrebbe probabilmente sortito migliori effetti.

Resta, ad attutire in qualche modo le responsabilità di Obama e dei suoi, l’impopolarità che una riforma delle armi continua a presentare negli Stati Uniti. Perché è vero, come dice Obama, che nove americani su dieci sono favorevoli a maggiori controlli su vendita e acquisto. Ma se la domanda riguarda una riforma “complessiva” del settore, il 45% degli americani dice di essere contrario (lo afferma un sondaggio pubblicato martedì 23 aprile da USA Today). Quasi la metà dei cittadini statunitensi resta dunque contraria a una legge che limiti decisamente il potere delle armi in America. Non sono dunque soltanto i finanziamenti della “National Rifle Association” a rendere quasi sicuramente destinati all’insuccesso gli sforzi di Obama. E’ un ben più complesso sistema culturale e storico che resta freddo, e sospettoso, nei confronti della limitazione del Secondo Emendamento.

Intanto in queste ore si è diffusa la notizia di una cospicua donazione fatta dallo scrittore Stephen King e da sua moglie alla “Coalition for a Safer Maine”, un gruppo che si batte per una regolamentazione più rigida in tema di controlli e di vendita delle armi da fuoco. L’autore di Le notti di Salem ha staccato un assegno “a cinque zeri”, come ha detto, senza però voler aggiungere di più. Dopo il massacro di Newtown, a dicembre, King aveva scritto un e-book, “Guns“, in cui discuteva le questioni legate al Secondo Emendamento e al diritto di possedere un’arma.

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