I colossi minerari australiani mettono a rischio il futuro della Grande barriera corallina australiana. Una delegazione Unesco ha da poco concluso una visita nel Queensland per stabilire l’impatto delle esportazioni minerarie, carbone in particolare, sul reef australiano, dichiarato patrimonio dell’umanità dal 1981. Il rapporto, con le conclusioni del sopralluogo, sarà publicato a maggio.

“La grande barriera corallina è sicuramente a un bivio, e le decisioni che saranno prese nei prossimi tre anni potrebbero essere cruciali per la conservazione a lungo termine dell’area”, ha detto nei giorni scorsi Fanny Douvere del programma marino dell’Unesco. La delegazione era arrivata in Australia allertata dal dragaggio per espandere ulteriormente il porto di Gladstone, in Queensland, dove il carbone viene stivato per poi salpare alla volta della Cina. A destare preoccupazione, inoltre, sarebbe la proposta costruzione di un nuovo porto, Abbott Point, che diventerebbe il più grande al mondo per l’esportazione del carbone, con un passaggio – dicono gli ambientalisti – di oltre 10mila navi l’anno (contro le attuali 1.722), in un canale più stretto di quello della Manica.

Secondo un rapporto del Future fisheries veterinary service, negli ultimi anni, pesci, granchi e tartarughe sono stati colpiti da malattie riconducibili agli effetti del dragaggio. Già dal 2008 era cominciata una misteriosa moria di testuggini verdi, causata dai sedimenti che, depositandosi sui fondali della barriera corallina, uccidono le alghe di cui gli animali si nutrono. L’aumento della richiesta di carbone, di cui l’Australia è uno dei principali esportatori al mondo, peggiorerebbe in modo esponenziale la contaminazione, mettendo la barriera corallina a rischio di sopravvivenza.

“Abbiamo chiesto al governo di non approvare alcun piano di sviluppo finché non siano chiare le conseguenze sull’ambiente”, dicono dagli uffici australiani di Greenpeace che porta avanti la campagna “Save Our Reef” (vedi foto).“Non vogliamo un paese dove 3 o 4 persone che hanno ammassato miliardi con le estrazioni minerarie, decidono chi è il primo ministro o se la barriera corallina può sopravvivere o meno”. Opinione condivisa dalla maggior parte degli australiani: secondo un sondaggio della Galaxy, il 90 per cento della popolazione vuole che la barriera sia tutelata. Il governo laburista, se prosegue l’attuale strategia non interventista, rischia di perdere la faccia.

Un articolo pubblicato dal quotidiano online Crikey, sostiene che il dragaggio del porto di Gladstone è rimasto sospeso “per lavori di manutenzione”, proprio nei giorni della visita della delegazione Unesco. Sotto il titolo “Perché la nostra barriera corallina è la discarica più economica”, l’articolo spiega che “il governo si comporta come un impresario assetato di soldi”, citando tra l’altro la decisione del ministro federale Tony Burke di autorizzare il dragaggio, assegnando un indennizzo all’ente del Great barrier reef marine park che sarebbe inferiore al prezzo di una normale discarica. Oggi il parco marino, patrimonio dell’umanità e considerevole fonte di introiti per il governo (dichiara proventi che superano i cinque miliardi di dollari l’anno) si trova a lottare contro due donne,  il primo ministro Julia Gillard e l’altrettanto tenace Anna Bligh, discendente del capitano del Bounty e premier del Queensland, entrambe accusate dai giornali di cedere agli interessi dei colossi minerari.

Negli stessi giorni in cui l’Unesco ispezionava la barriera, il ministro del Tesoro Wayne Swan era sotto i riflettori per aver pubblicato sulla rivista The Monthly un editoriale-denuncia sui dannosi effetti degli interessi corporativi sulla società australiana. Swan se l’era presa con “un pugno di persone che, avendo intascato uno sproporzionato quantitativo del successo economico della nazione, pensano di avere il diritto di modellare il futuro dell’Australia per assecondare i propri interessi”. Peccato che sia proprio il governo di cui Swan fa parte, ad approvare leggi che sembrano scritte su misura per i giganti del minerario.

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