L’appunto è stringato: “Esplosi sette colpi di arma da fuoco contro l’autovettura del direttore generale del comune di Ventimiglia, nonché presidente di una società municipalizzata operante nella gestione dei lavori pubblici”. E’ il 3 marzo 2009. Località Vallecrosia. In quello stesso giorno Marco Prestileo sporge denuncia. Contro ignoti, naturalmente. Dichiara di non aver mai ricevuto minacce. Dopodiché ricorda un precedente del 2001. Un colpo di pistola durante la notte di San Silvestro contro l’ufficio del sindaco “in quel momento occupato da me”. All’episodio, però, Prestileo dà poco peso. Forse, dice, si è trattato di un proiettile sparato durante i festeggiamenti.

Il 2 settembre 2009 altri spari. Obiettivo, questa volta, è un’agenzia immobiliare di Bordighera. Il 5 gennaio 2010 in corso Cavallotti a Sanremo va a fuoco il bar La Palma. Pochi mesi dopo, il 31 marzo, a Imperia vengono incendiati otto mezzi e un container della ditta D.d.s spa. Il 16 aprile va distrutto lo stabilimento balneare Moana sul lungomare di Bordighera. Il 28 settembre 2011 ignoti danno fuoco alla casa di un consigliere comunale di Ospedaletti. Dal 2009 al 2011 sono 41 gli atti intimidatori registrati nel Ponente ligure. Numeri che sanno tanto di mafia. Eppure l’opinione pubblica se ne accorge solo il 13 luglio 2010 quando le procure di Reggio Calabria e Milano mettono in fila 300 arresti. E’ l’operazione Crimine-Infinito che svela presenze, interessi e contatti della ‘ndrangheta nel nord Italia. C’è Milano, naturalmente. Ma anche Genova e non solo. Emergono locali di ‘ndrangheta in quasi tutte le province della Liguria.

Insomma , la mafia c’è e si vede anche in Riviera. E per mafia proprio ieri il governo ha deciso di sciogliere il comune di Ventimiglia, dopo che il 22 luglio scorso è stata nominata una Commissione d’indagine. Obiettivo: “Individuare condizionamenti e infiltrazioni nell’ambito della gestione del Comune con riferimento ai sub-appalti concessi dalle municipalizzate a soggetti economici ritenuti contigui alla criminalità organizzata”. Pochi mesi prima, in Liguria succede qualcos’altro: il 10 marzo sempre il ministero dell’Interno dà ordine di sciogliere il comune di Bordighera. Motivo: infiltrazioni mafiose. Nell’ottobre del 2011 la Prefettura di Imperia invia alla Commissione parlamentare antimafia un rapporto di 49 pagine fitte di nomi. E’ la cartina di tornasole per capire le parole registrate nel 2009 nell’aranceto di Siderno, il luogo in cui Domenico Oppedisano, capo assoluto della ‘ndrangheta, è solito tenere le riunioni di mafia. In quel frangente con il padrino c’è Domenico Gangemi, uomo di ‘ndrangheta e soprattutto capo delle cosche di Genova. Dice Gangemi: “Siamo tutti una cosa, la Liguria è ‘ndranghetista, noi siamo calabresi e quello che c’era qui lo abbiamo portato lì”. Parole che lasciano poco spazio all’interpretazione.

Così a distanza di tre anni da quell’intercettazione decisiva il quadro, se possibile, si chiarisce ulteriormente. Un primo dato: “Nel corso degli anni – si legge nel rapporto del prefetto d’Imperia – la struttura criminale si è sviluppata in maniera sotterranea, costruendo una ramificazione basata su complicità, legami parentali e cointeressenze”. Qualcosa di molto simile alla cosiddetta “zona grigia”, area di mezzo tra legalità e criminalità dove interessi mafiosi e imprenditoriali sono cuciti assieme dalla politica. Fino al punto di poter contare su personalità “in grado di riferire informazioni acquisite ai vertici decisionali”.

Insomma c’è di che preoccuparsi. Visto che “questa situazione ha consentito di ottenere vantaggi sia come offerta di posti di lavoro sia come benefici di tipo economico”. Benefici che in molti casi si portano dietro storie di estorsione e di usura. “Un fenomeno sottostimato” soprattutto “tra Sanremo e Ventimiglia”. E il motivo è semplice: mancano le denunce. Particolare che la relazione legge come “un atteggiamento di chiusura da parte delle vittime”. Omertà o paura, il confine è sottile. Capita in Liguria come in Lombardia dove il Ilda Boccassini è costretta a uscite pubbliche per dire che “davanti al mio ufficio non ho mica la fila di imprenditori che vengono a denunciare”. E come sotto al Duomo, anche all’ombra della Lanterna chi comanda è la ‘ndrangheta.

E così da Sanremo a Bordighera fino a Ventimiglia nomi e cognomi si uniscono in un unico filo criminale. Nella città del Casinò, ad esempio, nel giugno 2010 viene arrestato Carmelo Sgrò e la madre Maria Gallico, entrambi legati all’omonima cosca di Guardavalle (Catanzaro). Quando i carabinieri li fermano si trovano nella casa di un parente. A Diano Marina, invece, ci si accorge dell’infiltrazione dopo che nel 2005 la famiglia Attisano-Papalia subisce un attentato a colpi di pistola. Emerge così la presenza della famiglia De Marte-Ditto “legata alla cosca Gioffrè-Santaiti di Seminara”. Gli stessi a loro volto sono collegati ai Pellegrino i cui interessi mafiosi riguardano l’edilizia a Bordighera e in quasi tutto il Ponente.

Ultima lingua di terra prima di Mentone e la Francia. Qui, tra Bordighera e Ventimiglia, le cosche trafficano chili di droga. E lo fanno in collaborazione con camorra e cosa nostra. Si tratta di cartelli temporanei. Il controllo del territorio, invece, compete, in totale monopolio, alle cosche calabresi. Nel 2010 ai quattro fratelli Pellegrino vengono sequestrati beni per nove milioni di euro. Quello è il primo atto che porterà allo scioglimento del comune per anni commissariato dalla ‘ndrangheta. Non a caso tra i motivi che indurranno il prefetto a inviare una commissione d’accesso ci sono “i tentativi dei Pellegrino di ottenere il rilascio di una licenza per sala giochi”. Senza contare “i rapporti con alcuni amministratori locali”. Che, stando alle indagini, avrebbero portato “all’affidamento di appalti pubblici in assenza dei necessari requisiti”.

Lavori pubblici e impresa. Il tema che terremota Bordighera si ripropone anche per Ventimiglia. E lancia un allarme alla classe dirigente regionale: la sottovalutazione da parte degli imprenditori. Decisiva, in questo senso, la vicenda di Piergiorgio Parodi, noto costruttore della zona interessato alla realizzazione del porto di Ventimiglia. Il 25 maggio 2010 è in auto con alcuni collaboratori. Due uomini gli sparano contro con un fucile. Che fa Parodi? Scrive il pm: “Si è ben guardato dallo sporgere denunzia ed anzi ha addirittura coperto le tracce del reato (i fori di pallettone sul paraurti dell’autovettura) per evitare che qualcuno potesse accorgersi di quanto era accaduto e che gli potesse fare delle domande imbarazzanti”. Di più. Dice “di non conoscere l’identità dei due uomini”. Mentre negli interrogatori successivi dichiara addirittura di aver annotato il cellulare di uno dei suoi sparatori. Si tratta di Annunziato Roldi che il 23 novembre dello stesso anno sarà arrestato con Ettore Castellana. Eppure “qualifica il fatto come uno scherzo”.

E del resto infiltrazioni nella costruzione del porto emergono seguendo la vicenda di Giuseppe Marcianò, capo del locale di Ventimiglia e in stretti rapporti con Domenico Gangemi. Infiltrazioni, annota la prefettura, che avvengono attraverso la cooperativa Marvon intestata alla moglie di Marcianò. Insomma, politica e impresa, droga e usura. Il copione, ormai noto in Lombardia, si ripete anche in Riviera.

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