“Il mio capolavoro diplomatico”. Così l’anno scorso Silvio Berlusconi definiva la ritrovata amicizia tra Italia e Libia all’insegna del petrolio e del pugno di ferro contro le carrette del mare. Oggi, dopo 42 anni di dittatura, l’anziano leader è ormai solo e abbandonato. Rinnegato all’ultimo anche dal premier italiano. Il rapporto, nato nel 2008 quando i due paesi si sono lasciati alle spalle la pesante eredità coloniale, è durato solo tre anni per finire nel più violento dei modi: con il tradimento reciproco, le bombe, le minacce di morte. Ecco la storia di un idillio tra sultani che ha imbarazzato l’Italia davanti al mondo intero.

IL PREMIER E IL BACIAMANO A GHEDDAFI
C’è un’immagine che rappresenta meglio di altre il rapporto tra i due leader. E’ il 27 marzo del 2010 e B. è ospite al vertice della Lega Araba in corso a Sirte dove sarà ratificato il trattato di amicizia “capolavoro” firmato un anno prima a Tripoli. L’incontro tra i due, dopo un abbraccio, finisce con Berlusconi che s’inchina al leader arabo e ne bacia la mano con deferenza cortigiana. Il fotogramma fa il giro del mondo e ancora una volta imbarazza l’Italia. Ma è solo l’antipasto, perché sei mesi più tardi il Rais è di nuovo a Roma per festeggiare il secondo anniversario del trattato di amicizia tra i due paesi. E’ una calda notte di agosto e la tenda di Gheddafi, allestita non più a Villa Doria Pamphilj come l’anno prima, ma nella residenza privata dell’ambasciatore libico, è il luogo dove il dittatore ha portato la sua scorta di amazzoni e 30 cavalli arabi arrivati con volo speciale a Fiumicino.

Ma più che il folklore per le parate circensi e i troppi onori resi al dittatore, stavolta a prevalere è l’imbarazzo per il via vai di uomini di governo alla corte del sovrano di Tripoli. Sfilano uno dopo l’altro Franco Frattini, Gianni Letta e Ignazio La Russa. Non importa l’imbarazzo di quando il Colonnello si lascia sfuggire che “l’Islam deve diventare la religione dell’intera Europa”. Neppure quando dice che “Obama è come Bin Laden”. Di fronte alle proteste dell’opposizione, la maggioranza fa spallucce: “L’ospite è sempre sacro. Ha ragione Berlusconi, i vantaggi sono tanti”.

L’AMICIZIA SUGGELLATA DAI CONFLITTI D’INTERESSE
Due anni prima, il 31 luglio 2008 Gheddafi risponde alla mano tesa del governo italiano per mettere una croce sulla pesante eredità coloniale. Si capisce subito quanto sia venale il cemento dell’amicizia tra i due leader: Gheddafi, per dimenticare le sofferenze causate al popolo libico dall’occupazione coloniale, chiede 5 miliardi di euro. Un mese dopo Berlusconi si materializza a Bengasi e firma un Trattato di amicizia che, con il filo intrecciato di petrolio e appalti, ricuce lo storico strappo tra occupanti e occupati. Le condizioni sono un affare per tutti. La Libia pone fine all’ostilità verso gli italiani perpetrata fin dalla loro cacciata negli anni Settanta e accorda priorità assoluta alle aziende di casa nostra che intendono fare affari nel paese nordafricano. Si impegna anche a contenere l’immigrazione clandestina dalle coste libiche manda su tutte le furie la Lega di Roberto Maroni e Umberto Bossi. In cambio, l’Italia si fa carico di opere pubbliche per 5 miliardi di dollari, si impegna a collaborare nel settore della difesa “prevedendo la finalizzazione di specifici accordi relativi allo scambio di missioni tecniche e di informazioni militari, nonché lo svolgimento di manovre congiunte. Le due parti si impegnano a favorire il rafforzamento del partenariato nel settore energetico”.

AFFARI FININVEST ALL’OMBRA DELLA TENDA
Questi gli accordi ufficiali. Perché, secondo diverse inchieste giornalistiche, sotto la tenda di Gheddafi i traffici sarebbero stati molti di più. A sollevare il dubbio un capitolo del libro “Papi” scritto da Travaglio, Gomez e Lillo poi ripreso dal londinese Guardian con il titolo “Gheddafi-Berlusconi connection”. Si parla in modo esplicito di reciproci vantaggi politici nell’amicizia tra i due leader rintracciabili in diverse operazioni finanziarie nel segno del conflitto di interessi.

La società libica chiamata Lafitrade ha acquisito il 10 per cento della Quinta Comunication, una compagnia di produzione cinematografica fondata da Tarak Ben Ammar, storico socio di Berlusconi. Lafitrade è controllata da Lafico, il braccio d’investimenti della famiglia Gheddafi. E l’altro partner di Ben Ammar nella Quinta Comunication è, “con circa il 22 per cento del capitale”, scrive il Guardian, una società registrata in Lussemburgo di proprietà della Fininvest, la finanziaria di Berlusconi. Il quotidiano londinese aggiunge un altro tassello agli affari in odor di conflitto d’interessi: il fatto che Quinta Comunication e Mediaset, ossia l’impero televisivo di Berlusconi, possiedono ciascuna il 25 per cento di una nuova televisione via satellite araba, la Nessma Tv, che opera anche in Libia, sulla quale il colonnello potrebbe esercitare influenza attraverso la quota che ha rilevato nella Quinta Comunication. Così, dietro ai negoziati tra i due paesi su immigrazione, compensazioni coloniali, investimenti si nasconde un mare di affari. Come scrive il foglio britannico, “i due leader sono connessi da qualcosa di più della convenienza politica”.

L’ALTO TRADIMENTO E LA LEGGE CALPESTATA
In ogni caso la guerra civile del 2011 spazza via l’idillio e mette in difficoltà Berlusconi e tutta l’Italia che il premier ha impegnato su più fronti. Non a caso Gheddafi parlerà di “tradimento” e Berlusconi, solo quindici giorni fa, si dice preoccupato per la sua incolumità e per quella dei suoi familiari (“Gheddafi mi vuole morto, me l’ha giurata”). Difficile dare torto al colonnello che, ai primi segni di rivolta, affermava ancora che “mai Roma darà le basi alla Nato per attaccare la Libia”. Detto, fatto. L’Italia non solo darà le basi ma diventerà parte attiva nella guerra con bombardamenti a ripetizione (“sono contrario, ma non si può stare fuori dall’alleanza atlantica”, ha detto Berlusconi). Il resto è storia di queste ore, ma nel frattempo fra Roma e Tripoli sono circolati un sacco di soldi. Fino allo scoppio della guerra civile si calcola che quasi 40 miliardi di euro siano stati scambiati tra i due paesi, l’Eni ha incassato una proroga a 40 anni per operare tra i pozzi del nord Africa e l’Italia ha rilasciato licenze per esportare armi verso la Libia per 276,7 milioni di euro (tre quarti nel solo biennio 2008-2009) divenendo così il primo fornitore di aerei, missili ed attrezzature elettroniche. In questo modo, si può ben dire, Berlusconi prima ha armato l’amico contro il popolo inerme, poi con le stesse armi lo ha colpito alle spalle. Così si fa, con le amicizie nate all’improvviso sotto una tenda da sultani.

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