Archiviata l’indagine sull’agente che uccise Moussa Diarra a Verona, la procura: “Fu legittima difesa”
Poco più di un anno fa un 26enne maliano fu ucciso da un agente della Polfer a Verona. La Procura, dopo le indagini sul caso che avevano portato la comunità maliana in corteo, ha chiesto l’archiviazione nei confronti dell’assistente capo coordinatore indagato per l’omicidio. Moussa Diarra era stato ucciso la mattina del 20 ottobre dello scorso anno davanti alla stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova. Al termine delle indagini, durante oltre un anno, è stato stabilito che l’agente della Polfer avrebbe agito per legittima difesa perché aggredito con un coltello. La Procura ritiene che si sia trattato di una difesa “senza alcun dubbio” proporzionata all’offesa, sia per “attualità del pericolo”, che per “ingiustizia dell’offesa”.
Dagli accertamenti sarebbe emerso con evidenza che Diarra, che teneva nella mano destra un coltello da cucina con una lama seghettata di 11 centimetri, si era lanciato contro il poliziotto ad una distanza molto ravvicinata. La procura infine ritiene che “non può nemmeno affermarsi che (l’agente) si sia volontariamente posto in una situazione di pericolo”. “Resta inalterato per noi – commenta il Procuratore capo Raffaele Tito – il senso di dolore per la morte così drammatica di un giovane. Il perché infine egli abbia quel giorno tenuto quel comportamento così aggressivo non è nemmeno oggi stato del tutto chiarito”.
“Siamo sinceramente sconcertati dall’atteggiamento della Procura della Repubblica di Verona che, mentre richiede alla famiglia del povero Moussa Diarra, sparato a morte da un agente di Polizia, 8 euro per poterli mettere a conoscenza delle motivazioni che hanno fondato la richiesta di archiviazione, ritiene di poterle compendiare in un comunicato stampa da fornire ai giornalisti” sostengono in una nota gli avvocati Fabio Anselmo, Paola Malavolta, Silvia Galeone e Francesca Campostrini, legali della famiglia del migrante maliano ucciso a Verona.
Secondo gli avvocati “ancora una volta, la famiglia e gli affetti del morto, la dignità degli stessi e il necessario rispetto verso il loro bisogno di conoscere le cause e le condizioni della tragica morte di Moussa, oltreché i loro diritti di difesa, passano in secondo piano rispetto all’esigenza di informare la stampa e la politica. Questa difesa ha correttamente rispettato l’ordine di secretazione degli atti imposto dal pm in fase di indagini, e anche per questo riteniamo fosse dovuto mettere prima a conoscenza le persone offese delle ragioni della Procura, piuttosto che privilegiare l’opinione pubblica”.