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Abuso d’ufficio, Consulta: “Abolizione legittima, ma lascia vuoti di tutela. La politica sarà responsabile degli effetti”

Le motivazioni della sentenza con cui la Corte costituzionale ha respinto le questioni sollevate sulla legge Nordio
Abuso d’ufficio, Consulta: “Abolizione legittima, ma lascia vuoti di tutela. La politica sarà responsabile degli effetti”
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L’abrogazione dell’abuso d’ufficio ad opera della legge Nordio ha lasciato “indubbi vuoti di tutela penale” per le vittime di soprusi. Ma l’impatto delle sue conseguenze “è questione che investe esclusivamente la responsabilità politica del legislatore, non giustiziabile innanzi a questa Corte al metro dei parametri costituzionali e internazionali esaminati”. Lo scrive la Corte costituzionale nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 8 maggio ha respinto le questioni di legittimità sollevate dalla Cassazione e da 13 giudici di merito, ritenendo la cancellazione del reato non in contrasto con la Carta né con la Convenzione Onu di Merida contro la corruzione, sottoscritta dall’Italia. Nelle conclusioni del provvedimento redatto dal giudice Francesco Viganò (professore all’Università Statale di Milano, nominato nel 2018 dal presidente della Repubblica) si trova però un preoccupato monito sugli effetti della legge, “emblematicamente illustrati” – si legge – “dalle vicende oggetto dei 14 giudizi” portati di fronte alla Consulta: si va dal sequestro illegale disposto da una pm al tentativo di truccare il concorso in magistratura, fino alle “concorsopoli” universitarie in cui i bandi vengono aggiustati per assumere i candidati prescelti. Tutte fattispecie che adesso, grazie alla legge voluta dal ministro della Giustizia, non costituiscono più reato, con il risultato che i relativi processi finiranno nel nulla e i presunti responsabili archiviati o assolti.

Tuttavia, la Corte “ritiene di non poter sindacare la complessiva efficacia del sistema di prevenzione e contrasto alle condotte abusive dei pubblici agenti risultante dall’abolizione del delitto di abuso d’ufficio, sovrapponendo la propria valutazione a quella del legislatore”. Infatti, riassume il comunicato dell’ufficio stampa, i giudici hanno escluso che dall’articolo 19 della Convenzione di Merida “possa ricavarsi un obbligo di prevedere come reato le condotte di abuso di ufficio”. La norma Onu, sottolinea a questo proposito, la sentenza, “enuncia un mero obbligo di “considerare”” (shall consider adopting) l’introduzione del reato, affidando la scelta “alla prudente discrezionalità del legislatore di ogni Stato”. E d’altra parte “non vi è alcuna ragione per ritenere che, una volta compiuta la scelta di incriminare le condotte di abuso d’ufficio, lo stesso articolo 19 precluda allo Stato di ritornare sui propri passi, e di (ri)considerare i pro e i contra dell’incriminazione, eventualmente pervenendo alla conclusione di abolirla”. Di qui la conclusione: “Se gli indubbi vuoti di tutela penale che derivano dall’abolizione del reato (…) possano ritenersi o meno compensati dai benefici che il legislatore si è ripromesso di ottenere (cioè la fine della cosiddetta “paura della firma” dei sindaci, ndr) è questione che investe esclusivamente la responsabilità politica del legislatore”.

L’esito della questione, precisa il comunicato, sarebbe stato diverso se dalla Convenzione fosse stato ricavabile un obbligo di incriminazione: in quel caso, infatti, la legge Nordio avrebbe violato “l’articolo 117 della Costituzione, che condiziona l’esercizio della potestà legislativa al rispetto degli obblighi internazionali, tra cui quelli derivanti da convenzioni internazionali ratificate dall’Italia”. Sono state dichiarate inammissibili, invece, le questioni sollevate per presunta violazione del principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione) e di quello di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (articolo 97): l’orientamento della Corte, riassume l’ufficio stampa, vieta infatti l’esame di ricorsi basati su queste norme “quando il loro accoglimento produrrebbe un effetto in malam partem“, cioè negativo per gli indagati/imputati.

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