La Consulta salva la legge Nordio: l’abrogazione dell’abuso d’ufficio non è incostituzionale

L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio non è incostituzionale. Lo ha stabilito la Consulta decidendo – all’esito della discussione svolta mercoledì – sulle questioni sollevate sulla legittimità della norma più importante della legge Nordio. Nei mesi scorsi, la Cassazione e 13 giudici di merito avevano ipotizzato che la cancellazione dell’articolo 323 del codice penale fosse in contrasto con la Convenzione Onu di Merida contro la corruzione ratificata dall’Italia nel 2009, e quindi violasse l’articolo 117 della Costituzione sull’obbligo del nostro Paese di rispettare i vincoli internazionali. La Corte, si legge in una nota dell’ufficio stampa, “ha dichiarato infondate tali questioni, ritenendo che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale”. La motivazione della sentenza sarà pubblicata nelle prossime settimane: a firmarla sarà il relatore Francesco Viganò, professore di Diritto penale all’Università di Milano, nominato nel 2018 dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quella sull’abuso d’ufficio è la decisione più importante adottata dalla Consulta dopo l’elezione dei quattro giudici mancanti da parte del Parlamento: Francesco Saverio Marini, ex consigliere giuridico di Giorgia Meloni, Roberto Cassinelli, avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia, Massimo Luciani, costituzionalista vicino al Pd, e Maria Alessandra Sandulli, amministrativista individuata come profilo “tecnico” e bipartisan.
L’articolo 19 della Convenzione di Merida, rubricato proprio “abuso d’ufficio”, prevede che “ciascuno Stato Parte esamina l’adozione delle misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per sè o per un’altra persona o entità”. Una formulazione che ricalca, più o meno, quella esistente nel nostro codice penale fino all’entrata in vigore della legge Nordio. Secondo i giudici che si sono rivolti alla Consulta, da questa norma e dal complesso del trattato è ricavabile un cosiddetto obbligo di stand still, cioè di “non tornare indietro“, per uno Stato che già preveda il reato nel proprio ordinamento: l’abrogazione decisa dal governo, quindi, violerebbe un impegno assunto dall’Italia in sede internazionale. Una tesi che però la Corte costituzionale ha respinto.
“Esprimo la massima soddisfazione per il contenuto del provvedimento della Corte costituzionale, che ha confermato quanto sostenuto a più riprese in ordine alla compatibilità dell’abrogazione del reato di abuso di ufficio con gli obblighi internazionali. Mi rammarica che parti della magistratura e delle opposizioni abbiano insinuato una volontà politica di opporsi agli obblighi derivanti dalla convenzione di Merida. Auspico che nel futuro cessino queste strumentalizzazioni, che non giovano all’immagine del nostro Paese e tantomeno all’efficacia dell’amministrazione della giustizia”, è il commento del ministro Nordio. Soddisfatto anche il deputato di Forza Italia Enrico Costa, uno dei principali fautori dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio (aveva pubblicato un dossier con le storie di 150 sindaci indagati e poi scagionati): “Per mesi e mesi la propaganda della sinistra, dell’Anm, dei forcaioli ha descritto l’abrogazione dell’abuso d’ufficio come un intervento incostituzionale. Hanno interpretato le convenzioni internazionali in modo distorto per sostenere i loro interessi politici, ci hanno descritto come complici dei criminali. Oggi si è espressa la Corte costituzionale e li ha smentiti. Hanno perso ogni credibilità sui temi della giustizia”, attacca.
Le questioni di costituzionalità erano state sollevate in tutta Italia, da Bolzano a Catania. La prima era arrivata a settembre dal Tribunale di Firenze nell’ambito del processo in cui è (o meglio, ormai, era) imputata per abuso d’ufficio l’ex procuratrice aggiunta di Perugia Antonella Duchini, accusata di aver disposto un sequestro illegittimo per favorire un imprenditore indagato.