Chiudere le centrali a carbone sì, smantellarle no: Pichetto raccoglie l’assist di Salvini e Descalzi

Tenersi buono il carbone perché non si sa mai: “Confermo la chiusura della produzione, come già previsto nel 2024” ma “lo smantellamento è un altro discorso: credo che dobbiamo tenere in stand-by le nostre centrali a carbone”. Con queste parole il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha aperto alle lamentazioni della Lega, di Enel ed Eni giovedì scorso, a margine del Forum Confcommercio che si è tenuto a Roma.
Il ministro ha specificato che si porrà fine alla produzione di energia da carbone “perché non c’è convenienza economica” (dimenticandosi di citare l’aspetto ambientale) e ha però aggiunto che “il quadro geopolitico è ancora tale da garantire che il gas non arrivi a 70 euro al MWh” o che non ci siano “disfunzioni nelle pipeline che ci forniscono”. In quel caso, è il punto, avendo le centrali a carbone “in questo momento ferme perché non è conveniente farle produrre” si avrebbe una “valvola di riserva”. Insomma: nessuno smantellamento, solo uno stop che, oltretutto, in questi giorni è passato sotto traccia.
L’assist di Salvini, Descalzi e Cattaneo – L’Italia entra dunque in pieno nel trend globale di diluizione degli impegni su clima e ambiente, trainato dagli Stati Uniti che disconoscono gli Accordi di Parigi e rivitalizzano senza nascondersi le fonti fossili. Due giorni prima, in realtà, il tema sulle centrali a carbone italiane era emerso durante un evento della Lega che si era svolto a Milano, sostenuto dallo stesso vicepresidente del Consiglio e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini. “A un governo che è una squadra – aveva detto – porto sul tavolo della maggioranza la mia riflessione che, in base alle esigenze di oggi, chiudere le 4 centrali a carbone non è nell’interesse del Paese”.
Il convegno, in particolare, verteva sul nucleare. “Amo l’uccellino – aveva ironizzato Salvini – il passerotto e lo scoiattolo, ma penso a chi ha bisogno di energia. È incredibile che i tedeschi che si sono inventati il green deal abbiano il 25% di energia generata dal carbone”.
A dare man forte a Salvini anche Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, e Flavio Cattaneo, ad di Enel. “Chi faceva il primo della classe sta sopravvivendo con il carbone” ha incalzato Descalzi. Ha citato l’intelligenza artificiale e i data center che richiederanno sempre più energia e la necessità di tenere bassi i costi. “Questo – ha detto – lo consentono solo nucleare, gas e carbone”. L’ad di Enel – che possiede tre delle centrali ancora in funzione – ha ricordato che si tratta di “impianti perfettamente funzionanti, senza i quali durante la crisi del gas avremmo avuto grossi problemi” suggerendo di fatto di valutare se possano essere ancora utili come backup. “La scelta è del governo italiano, c’è stata una decisione di anticipazione dei tempi, credo del governo precedente, ma oggi le condizioni sono diverse per la sicurezza, quantomeno ci penserei”. Tra le idee, anche quella di cederle in quest’ottica ad altri, a partire dal Gse.
Le centrali, i consumi, le proteste e gli obiettivi del Pniec – Per le associazioni ambientaliste, dal Wwf a Legambiente, “è inaccettabile che nel 2025 si proponga ancora il carbone all’interno del mix energetico” e sostengono che “per il nostro governo tornare indietro sulla decisione assunta sarebbe davvero una pessima figura, e lo è già per le aziende che hanno avanzato la proposta”. In Italia, infatti, attualmente il carbone non ha un ruolo di grande rilievo. Secondo gli ultimi dati del Gse, relativi al 2023, solo il 5,27 per cento del mix energetico per l’elettricità immessa in rete arriva dal carbone. E alcune stime di think tank indipendenti sul 2024 (come Ember) suggeriscono se non un ulteriore calo, per lo meno il superamento della produzione di energia solare su quella dal carbone in tutta Europa. Terna ne stima una riduzione in Italia di almeno il 70 per cento nell’ultimo anno.
Anche per questo l’Italia, pure nel Pniec – il Piano nazionale di energia e clima presentato a Bruxelles a giugno del 2024 – si è impegnata a dismettere, entro il 2025, le centrali a carbone ancora attive. A inizio anno erano ancora cinque di cui una, quella di Monfalcone (Gorizia), ha smesso di funzionare proprio a gennaio, evento festeggiato dalla stessa sindaca eletta con la Lega. Restano Brindisi, Civitavecchia e due in Sardegna (la cui dismissione è prevista però entro il 2028). Il Pniec, oltretutto, prevedeva un avvio di phase-out serrato già dal 2025, citando decommissioning e trasformazioni e forte potenziamento delle rinnovabili, per mettere un punto netto dopo il programma di massimizzazione della produzione da carbone che è stato messo in campo tra settembre 2022 e settembre 2023 proprio per l’emergenza. Phase-out che, evidentemente, non conviene ancora a nessuno.