Mantovano attacca i giudici: “Sui migranti erodono sovranità popolare”. Anm: “Ricorra alla Consulta”
Un attacco alla magistratura, accusata di erodere la sovranità popolare. Il motivo? Le sentenze di disapplicazione dei decreti emanati dalla maggioranza di governo sull’accoglienza dei migranti. Sono dichiarazioni dure quelle di Alfredo Mantovano, potente sottosegretario di Giorgia Meloni e a sua volta magistrato con una lunghissima carriera alle spalle. All’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense, l’esponente del governo ha parlato di una magistratura che “erode la sovranità popolare”, “deraglia dai confini” e “decide le politiche”, percepita come un establishment che punta ad arginare l’esito del voto. Attacchi ai quali replica l’Associazione nazionale magistrati: “Se davvero pensano che le cose stiano così ricorrano alla Consulta per il conflitto di attribuzione”, dice il vicesegretario Stefano Celli.
Una replica diretta all’intervento di Mantovano, secondo il quale esistono tensioni “che si apprestano a incidere sulle fondamenta stesse degli stati democratici di diritto che si poggiano sul principio della sovranità popolare. Sono tre le tipologie di aggiramento della sovranità popolare tramite la strada giudiziaria: la creazione delle norme per via giurisprudenziale, la sostituzione delle scelte del giudice a quelle del governo, la selezione per sentenza di chi deve governare”.
Il tema della “giustizia creativa“, come l’ha definita il sottosegretario “non è nuovo, la novità è il suo carattere non più eccezionale, con riferimenti alle fonti internazionali ed europee dando una lettura assai estensiva, per non dire arbitraria, delle norme costituzionali. Il tutto per costruire discipline che il Parlamento non ha mai approvato. Parallela, c’è la tendenza delle Corti a negare spazi regolativi al legislatore, parallela ma non contrapposta perché esprime il medesimo percorso di erosione degli spazi di sovranità popolare“. A che si riferisce Mantovano? “Pensiamo, per riportare un esempio di leggi sistematicamente disapplicate, a quelle in materia di immigrazione. Disattese magari dopo averne annunciato la disapplicazione in convegni e scritti”, ha detto, intendendo dunque il caso Albania e le sentenze dei giudici italiani che hanno disapplicato i decreti del governo sulla gestione dei migranti e dei richiedenti asilo.
Per il sottosegretario il rischio è che la magistratura potrebbe percepire se stessa “come parte di un establishment che ha la funzione di ‘arginare’ la deriva di coerenza tra la manifestazione del voto e l’azione di governo”. Ma il braccio destro di Meloni non attacca solo una parte della magistratura: “Non riduciamo questo scenario a un racconto di ‘toghe rosse‘ in azione, che forse aveva senso 30 anni fa e ora è macchiettistico. È qualcosa di più complesso e di più grave. È un ormai cronico sviamento della funzione giudiziaria, perché quest’ultima deraglia dai propri confini e decide, insieme alle norme, le politiche sui temi più sensibili, e chi quelle politiche deve applicare. Ed è uno sviluppo che attraversa tutte le giurisdizioni, a prescindere dalle appartenenze correntizie”.
L’intervento del sottosegretario alla Presidenza del consiglio provoca la reazione di Celli, vice segretario dell’Anm. “Vi sono delle valutazioni che spettano ad organi diversi da quelli eletti, previsti dalla legge e che fanno il loro dovere, i quali a volte possono andare in contrasto con le decisioni del governo. Se proprio il governo ritiene di essere limitato da questo esercizio di poteri e se fosse vero che qualcuno di noi ha esercitato un potere che non è suo, si può ricorrere alla Corte costituzionale per il conflitto di attribuzione”, dice il dirigente del sindacato dei magistrati.
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