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Violenza domestica, la Cedu condanna l’Italia sul caso Buscemi: una vittoria per tutte le donne

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E’ arrivata un’altra condanna per l’Italia da parte della Cedu in materia di violenza domestica per violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti umani: “Nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti”. Le autorità italiane – secondo i giudici di Bruxelles – non hanno agito con sufficiente tempestività e ragionevole diligenza dimostrando incapacità nel condurre le indagini e non hanno garantito che l’autore del reato fosse perseguito e punito senza indebiti ritardi. Tantomeno tennero conto del problema specifico della violenza domestica e di conseguenza non fornirono una risposta proporzionata alla gravità dei fatti denunciati dalla ricorrente, agendo “in spregio al loro obbligo di garantire che l’accusato di minacce e molestie fosse processato rapidamente e non potesse quindi beneficiare della prescrizione”.

Il ricorso è stato presentato da Patrizia Pagliarone e curato dall’avvocato Nicola Pignatelli del Foro di Pisa con la collaborazione del professore Giuseppe Campanelli. Nel 2018, il caso ebbe molta risonanza mediatica e politica perché coinvolse l’attore Andrea Buscemi, candidato con la Lega e nominato assessore nel Comune di Pisa mentre era a processo per stalking. Vi furono dure prese di posizione contro la giunta comunale, la Casa delle donne di Pisa organizzò manifestazioni, sit-in e lanciò una petizione chiedendo la revoca dell’incarico all’assessore (poi dimesso dal sindaco). Proteste alle quali Buscemi rispose querelando Carla Pochini, all’epoca presidente della Casa delle donne. Venne assolta per diritto di critica. La vicenda si chiuse politicamente ma processualmente si trascinò per anni.

Patrizia Pagliarone presentò denuncia per stalking nel 2009 ma con sentenza dell’8 gennaio 2016, il Tribunale di Pisa assolse Buscemi. La Procura fece ricorso e, il 30 maggio del 2017, la Corte d’appello di Firenze assolse Andrea Buscemi per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge di stalking (ossia il 25 febbraio 2009) e dichiarò prescritti i fatti commessi dopo tale data. I giudici di secondo grado osservarono però che la fase investigativa e il processo davanti al tribunale erano durati così a lungo che il periodo di prescrizione del reato era completamente scaduto ma condannò Buscemi a risarcire la parte offesa.

La Cassazione nel giugno 2019, nove anni e mezzo dopo la presentazione della denuncia, confermò la prescrizione del reato ma annullò la sentenza per quanto riguardava la responsabilità dell’imputato perché non adeguatamente motivata, in quanto il procedimento non era stato riaperto all’udienza di appello. La causa venne rinviata al tribunale civile.

Fu un iter complesso e travagliato che causò non poca sofferenza a Patrizia Pagliarone e l’amarezza di non aver ottenuto giustizia, fino ad oggi. Queste sono le sue parole: “Questa sentenza mi restituisce un frammento di gioia e riaccende in me una scintilla di fiducia nella Giustizia, ma quanta sofferenza ho dovuto sopportare! Questa vicenda mi ha lacerata dentro e fuori. Il mio corpo porta i segni di questa battaglia, la mia mente ne è ancora prigioniera, anche perché dopo più di 15 anni dalla denuncia, l’incubo non è ancora finito: il processo principale non è ancora terminato, a causa dell’ennesimo ricorso in Cassazione di chi è stato condannato al risarcimento dei danni. Eppure, se c’è una luce in fondo a questo tunnel, è la speranza che la mia storia possa servire a qualcosa. Se questa sentenza può contribuire a cambiare qualcosa, a migliorare la situazione in Italia, a dare forza ad altre donne che subiscono ciò che ho vissuto io, allora almeno il mio dolore non sarà stato vano.”

La Cedu nel condannare l’Italia ha ribadito che si aspetta severità dagli Stati quando perseguono i responsabili della violenza domestica, perché la posta in gioco non è la questione della responsabilità penale individuale degli autori ma anche gli attacchi all’integrità fisica e morale degli individui. Ogni Stato “ha il dovere combattere il senso di impunità di cui gli aggressori possono pensare di beneficiare e mantenere la fiducia del pubblico nello Stato di diritto e il suo sostegno, in modo da evitare qualsiasi apparenza di tolleranza o collusione da parte delle autorità nei confronti degli atti di violenza”.

“L’accoglimento del nostro ricorso e la condanna dell’Italia dimostra – è il commento dell’avvocato Pignatelli – come il sistema della Cedu costituisca un baluardo effettivo, uno strumento di chiusura, della tutela dei diritti fondamentali e in particolar modo dei diritti dei soggetti vulnerabili. La sentenza, al di là del caso singolo, afferma come la inadeguatezza, normativa e giurisdizionale, di un ordinamento nei modi e nei tempi di reazione nei confronti delle violenze domestiche si risolva in una grave violazione della Convenzione europea. Una vittoria per tutte le donne. Un obbligo per tutti a proseguire in questo percorso.”

@nadiesdaa

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